Se dovessimo ripensare ai trent’anni che ci hanno portati dove siamo ora non basterebbe un intero libro o un’intera vita, per poter racchiudere il significato e la forza del Movimento No Tav. Non è questa la sede per poter “riassumere” gli anni della lotta No Tav, le sue esperienze e ramificazioni, le realtà che l’hanno attraversata e che la continuano ad attraversare, la profondità di sguardo e la capacità di produrre forme inedite di resistenza e di vita. Così come, innumerevoli sono stati i tentativi della controparte di frantumare e silenziare un movimento che negli anni non arretra di un centimetro, ma avanza.
Non sarà nostro interesse soffermarci sulle ridicole costruzioni della questura torinese, delle mirabolanti imprese della magistratura, degli accanimenti senza vergogna dei vari PM che, a turno, hanno avuto come unica priorità l’obiettivo di colpire il movimento privando della libertà centinaia di persone che ne hanno preso parte e che hanno dato ciascuna il proprio contributo, ciascuna alla propria maniera. L’hanno fatto negli anni, continuano a farlo pensando di intimidire, senza mai riuscirci.
Ma alcune considerazioni escono proprio dal cuore.
I promotori di quest’opera inutile, ecocida e dannosa, da decenni cercano di difenderla a colpi di recinzioni, cantieri e truppe di occupazione. Lungo tutta la nostra Valle ormai sono moltissimi i luoghi deturpati dall’azione di Telt e dai suoi bravi, da Chiomonte a San Didero fino a Salbertrand, è raro poter osservare territori lasciati in pace. Se Oltralpe le aziende detentrici degli appalti per i lavori tirano la giacchetta a Virano & Co. per avere garanzie sulle spese energetiche da sostenere, rincarate dal conflitto in corso, alle nostre latitudini l’unico interesse è quello di ricoprire ogni metro di terra, anche solo potenzialmente coinvolto dai lavori, di filo spinato, jersey di ferro, cancelli difesi a loro volta da plotoni di polizia, carabinieri, guardia di finanza, militari. Oltre all’assurdità del tentativo di trasformare la nostra Valle in un territorio di guerra, non è possibile tacere di fronte allo spreco immenso di risorse utilizzate in questo modo: i soldi usati per mantenere cantieri militarizzati a protezione di lavori che procedono a rilento, sono i soldi sottratti alle possibilità di curarsi e di stare bene, sono soldi sottratti alla tutela della terra, soldi sottratti a una vita degna, tutto per gli interessi altrui.
In questo momento poi, lo spreco di soldi esito dalla costruzione di un teorema giudiziario che tenta di insinuare il fatto che ci sia un’associazione sovversiva all’interno del movimento No Tav, è un altro esempio di risorse che ci vengono sottratte, per provare a colpirci. Centinaia di migliaia di euro scialacquati, durante un periodo in cui c’era ben altro a cui pensare, per giungere al risultato di una falsa narrazione che ha del romanzesco e, sulla base di questa, giustificare i tentativi di punire, contenere e frammentare il movimento. Ci chiediamo se non si sentano ridicoli e vergognati nei loro uffici, nelle loro indagini, nelle loro aule di tribunale, nell’intento di costruire una realtà parallela e visionaria che non convince nemmeno loro stessi. E che, alla prima occasione, ha già dimostrato di essere un gigante coi piedi d’argilla. Infatti, sebbene il Tribunale di Torino non sia rinomato per essere dalla parte di chi lotta, il castello di carte inizia a sgretolarsi tra le loro stesse mani.
A chi li guarda però, nasce un sentimento di ripugnanza quando è evidente che, in nome della persecuzione politica nei confronti di chi resiste, vengano schiacciate le reali necessità di tutti e tutte. Se il loro impianto non regge è perché la realtà li supera, oltrepassandoli sia nel suo violento incedere a folle velocità verso l’esplosione delle contraddizioni sociali e sia per l’esistenza stessa di un movimento più forte di qualsiasi invenzione atta a ostacolarlo. La sua forza? Resistere per la vita.
Nel febbraio 2020 scoppia la pandemia, prima pandemia dei nostri anni, momento sconvolgente per le vite di tutti e tutte. Nel totale abbandono da parte delle istituzioni nascono esperienze di autorganizzazione, esperimenti per mantenere relazioni e diverse forme di solidarietà. Anche in questo momento la Val Susa è stata uno degli esempi di chi nel nostro paese ha voluto lottare con le unghie e con i denti per la dignità, esprimendo attaccamento alla vita nel senso più alto del termine. Già in questo frangente la controparte non ha perso occasione per provare a sferrare i suoi colpi più bassi, approfittando del lockdown e dell’impossibilità del ritrovarsi, per avanzare con gli allargamenti al cantiere dell’alta velocità. È proprio in questo momento che nasce l’esperienza del Presidio dei Mulini, luogo che ancora oggi esiste e resiste, luogo simbolo di un’alternativa reale a un sistema mortifero come quello che ci viene imposto, luogo vissuto e attraversato da centinaia di giovani di tutta Italia e non solo.
Nell’aprile successivo, quando a tentoni si cercava di ristabilire una sorta di “normalità”, o perlomeno di riprendersi dal trauma collettivo causato dalla pandemia, veniva sgomberato il Presidio dell’Autoporto di San Didero per lasciare spazio a un nuovo cantiere, con la sola funzione di militarizzare un’area ora asfaltata e disboscata. Da quel momento in poi, un nuovo presidio nasceva e cresceva, fortificandosi, pur dovendo affrontare vari tentativi di distruzione delle sue infrastrutture. Oggi, di fronte a una vile e cieca corsa agli armamenti per l’egemonia economica e politica mondiale, servono parole chiare e nette di condanna a una guerra in cui guadagneremo solo i suoi morti, ed è anche per questo che oggi vogliamo rappresentare la necessità di aprire una reale via di opposizione a questo conflitto.
È infatti nei piccoli e grandi eventi della nostra storia, attraverso ciò che viene detto e poi fatto con decisione, che le reti si smontano e i teoremi si sgretolano. È nella linfa vitale degli incontri e nel sostegno tra lotte territoriali a tutte le latitudini, che lo sforzo della controparte di dividere il movimento si frantuma. È nella capacità di porsi all’altezza di un momento storico sempre più complesso, veloce nelle sue trasformazioni e disarmante, grazie alla ricchezza del farsi comunità e dell’indicazione di un orizzonte chiaro verso il quale guardare, che si schivano i colpi e si contrattacca. Esistono tanti motivi ma forse una sola spiegazione capace di individuare l’origine degli ostacoli messi in campo negli anni nei confronti del movimento No Tav. È una battaglia viva, concreta, fatta di donne, uomini, anziani, bambini, che non accettano di stare in silenzio di fronte alla violenza di un sistema che, incarnandosi perfettamente nella strenua volontà di fare il tav e nelle crisi dell’oggi, sta implodendo scagliando le sue conseguenze su chi resiste per una vita. La lucidità nel vedere dove stanno le responsabilità dell’attacco alle nostre vite e la potenza dell’agire insieme per fermare i loro sforzi è ciò che fa loro paura ma, nonostante tutto, non possono fermare il vento.
Anche per questo sabato 16 aprile cammineremo per le strade della Val Susa con il pensiero rivolto a Giorgio, Umberto, Stefano, Alice, Donato, Dana, Stella, Mattia, Luca, Emilio, Francesca, Mattia e a tutti e tutte coloro privati della loro libertà, con lo sguardo fiero verso il futuro che vogliamo, sempre più convinti delle nostre ragioni.