Iniziamo a pubblicare alcuni approfondimenti in vista della marcia popolare No Tav del 16 aprile.
In questo primo articolo proveremo ad affrontare dalla nostra prospettiva, cioè quella di una lotta territoriale contro la devastazione ambientale e lo sperpero di denaro pubblico, la questione della guerra.
Questo è un tema estremamente complesso e si rischia facilmente di scadere nel cinismo o nella speculazione. In questo testo non ci lanceremo in grandi analisi geopolitiche o in disamine storiche, ma alcune cose le vogliamo dire in maniera chiara.
In primo luogo, questa guerra, come ogni guerra tra stati e sfere di influenza in questo sistema di sviluppo, è una guerra che dipende da fattori economici e di potenza. Non c’è nessun insieme di valori morali da difendere, nessuno scontro di civiltà in cui prendere una parte piuttosto che un’altra. L’unica cosa che importa ai governanti schierati in questo conflitto è fare gli interessi della propria cricca, fine della storia. Si può pensare che ciò sia giusto o sbagliato, ma l’importante è esserne consapevoli.
L’unica cosa che invece importa a noi, dalla nostra prospettiva, sono le condizioni delle popolazioni coinvolte, che nulla centrano con chi ha orchestrato e stimolato questo conflitto. Stiamo parlando ovviamente degli ucraini che stanno pagando con la vita la voracità distruttiva della guerra, o che fuggono dalle proprie case e si trovano divisi dai propri affetti e di quei russi che pagano con la fame e la povertà un conflitto che gli è stato imposto, che vedono morire i propri figli al fronte. Ma pensiamo anche ai molti ed alle molte che dal nostro lato del mondo sentono peggiorare le proprie condizioni di vita a causa di una crisi economica e sociale galoppante in cui la guerra si inserisce come ulteriore fattore di impoverimento ed incertezza.
Questa guerra, anche ammesso che non si trasformi in un conflitto mondiale, avrà conseguenze in ogni angolo del globo. Aumenti dei prezzi, destinazione di risorse al riarmo, restringimento degli spazi di critica e ragionamento, aumento della povertà e della precarietà, rilancio delle energie fossili sono solo le prime avvisaglie di quello che vedremo nei prossimi tempi.
Quanto sta succedendo ci riguarda da vicino per tre motivi:
1 – La questione delle risorse: La pandemia che stiamo attraversando avrebbe dovuto portare a ripensare le priorità dell’agenda politica del nostro paese. Sanità, la scuola, i servizi, trasporti locali, reddito avrebbero dovuto essere al centro del dibattito pubblico; invece, quasi nulla è stato fatto per affrontare questi temi. Oggi invece con uno schiocco di dita si spostano miliardi di euro sul riarmo andando a finanziare le lobbies della guerra. Questo significherà semplicemente maggiore austerity per noi, che ci troveremo a fare i conti con gli aumenti dei prezzi, la privatizzazione galoppante e in poche parole un’economia di guerra. I Comuni della valle, come tutti i piccoli comuni del nostro paese, si trovano a soffrire una carenza strutturale di risorse, si trovano fuori da qualsiasi visione di futuro, che non sia quella di trasformarle in zone di sacrificio per una mala opera o una lavorazione degradante e inquinante. Questo è il ricatto a cui il nostro territorio è sottoposto quotidianamente.
In un momento del genere sarebbe ovvio ripensare ad un investimento inutile e devastante come il TAV Torino – Lione, ma tanto per la guerra quanto per le grandi opere inutili vale una sola regola: i profitti di pochi davanti alla vita di molti. Opporci a questa logica è un fatto di sopravvivenza.
2 – La logistica della guerra: La Val Susa è da sempre un corridoio di attraversamento per i beni e per le persone. Una valle come la nostra è sempre stata luogo di incontro tra popoli, di ospitalità e condivisione. Per noi non si è mai trattato di chiuderci al mondo lì fuori. Non abbiamo mai negato questa natura del nostro territorio, ed in un certo grado la nostra opposizione al TAV parte anche da questa considerazione: non è indifferente come si attraversa un territorio, cosa lo attraversa e che effetti sociali e ambientali ha. Abbiamo spesso riflettuto su perché merci e manager dovrebbero guadagnare mezz’ora di tempo per andare da Torino a Lione, mentre chi fugge dalla fame e dai conflitti per farlo deve mettere a rischio la propria vita. Ci siamo chiesti perché dovremmo accettare un tale grado di devastazione del nostro territorio per agevolare un sistema di sviluppo che produce sfruttamento nei magazzini della logistica, disuguaglianze e impoverimento.
A chi serve questa opera? Per chi è strategica?
Oggi di fronte all’esplosione di questo conflitto in Europa si evidenzia come opere quali la Torino – Lione non servono unicamente da bancomat per politici e imprenditori, ma sono progetti utili alla logistica di guerra. Il (defunto) corridoio da Lisbona a Kiev rientra tra i piani di mobilità militare e in parte spiega l’insistenza delle istituzioni transnazionali sulla seconda linea Torino – Lione che permetterebbe un trasporto più agevole degli armamenti grazie alla standardizzazione delle tratte, alla costruzione del nuovo tunnel e alla riduzione delle pendenze. Non vogliamo che la nostra valle si trasformi in un corridoio di morte e distruzione.
3 – Riarmo = Ulteriore militarizzazione dei territori: Le guerre tra stati vengono sempre combattute su due fronti, quello esterno e quello interno. Già notiamo il clima di caccia alle streghe che viene costruito tra politica e media nei confronti di chi prova a proporre anche solo uno sguardo più riflessivo sulle questioni della guerra. C’è da scommettere che se il conflitto continuerà e vivrà ulteriori approfondimenti, chi prova a mettere in discussione il modo in cui vengono spese le risorse, il rapporto della nostra società con la natura, lo sfruttamento sui posti di lavoro e l’impoverimento e le disuguaglianze si troverà a scontrarsi contro le retoriche di “interesse nazionale” e un ulteriore restringimento degli spazi di libertà e agibilità politica. Vedremo crescere il clima di militarizzazione nei nostri paesi e nelle nostre città, ci misureremo sempre di più con una polarizzazione costruita ad arte per dividere la popolazione. La costellazione di “siti di interesse nazionale”, filo spinato e militari schierati sul territorio è destinata a crescere, almeno che non cresca con forza una opposizione popolare alla guerra in grado di tenere insieme i diversi temi. Nel nostro piccolo costruire questa possibilità è un tentativo fondamentale.
Il 16 aprile in questo senso può essere un momento di confronto, condivisione e riflessione nella direzione di partire dai propri territori, dalla propria quotidianità per rifiutare la guerra ed immaginare un futuro diverso.