Alcune situazioni attuali proiettano delle paure sul futuro, si può ignorarle oppure, meglio, si può parlarne, perché il futuro, alla fine, è scritto dalle persone, e se queste decidono di cambiarlo, possono farlo.
“ I limiti dello Sviluppo” , uno dei libri cult di tutto il secolo scorso, per la diffusione che ha avuto e per la presa di coscienza che aveva innescato, aveva delineato sin dal 1972 degli scenari in cui entravano contemporaneamente in gioco popolazione, risorse alimentari ed energetiche. Oggi le analisi fatte allora dal M.I.T. andrebbero tarate, ma gli elementi chiave di quello splendido studio, che meriterebbe come nessun altro di vedere una nuova edizione, sono ancora oggi gli stessi, con l’aggiunta delle alterazioni del clima e della speculazione finanziaria . Le prime sono entrate in campo nel 1981, a seguito degli studi sull’ “ inverno nucleare” creato da un eventuale conflitto atomico, e poi si sono evolute su altri scenari, come il riscaldamento globale a seguito dell’aumento dell’inquinamento; la seconda si è affermata a metà degli anni ’90 quando anche nei paesi emergenti, Cina, India e Brasile in primo luogo, si son cominciate a capitalizzare delle disponibilità finanziarie che si sono aggiunte a quelle già esistenti sui mercati.
Ed è proprio la speculazione finanziaria il primo terribile cavaliere di questa minaccia di apocalisse ambientale che ci sta davanti. Una massa di denaro, grande otto volte il denaro effettivamente circolante, in mano ad “ uomini senza volto” che null’ altro vedono, oltre la necessità di far crescere l’interesse del capitale a loro affidato, distruggendo imprese od aree economiche , affamando od impoverendo nazioni con speculazioni su petrolio, materie prime, risorse alimentari o prestiti nazionali. E’ denaro allo stato puro, che esiste in forma virtuale sotto forma di impegni di pagamento perché è stato monetizzato anche il futuro, anticipando il prezzo delle risorse energetiche od alimentare che saranno consumate tra qualche anno.
E’ la forma più feroce del capitalismo, eppure quel che resta della sinistra era indietro di 20 anni nel capire il ruolo delle banche e nel comprendere che, dietro al proprietario che delocalizza e licenzia, c’è soprattutto la pressione di una banca che gli fa ponti d’oro per rinnovargli il fido in un paese in cui il capitale che la banca ha investito ha maggiori capacità di crescita.
Il secondo cavaliere è la crescita della popolazione. Anche questa non è una novità. Si è sempre saputo dove si andava a finire con certi ritmi di crescita, solo che si è preferito non addentrasi nei calcoli.
Gli studi di economia degli anni ‘70 ed ‘80 fornivano dei modelli socioeconomici della società futura che erano attendibili: “ a patto che i cinesi non vogliano arrivare ad uno standard di vita uguale a quello degli europei e dei nordamericani”; la simulazione non veniva neanche tentata, invitando implicitamente ad incrociare le dita. A ben vedere sono poi stati proprio i cinesi e gli indiani ad attuare una pianificazione familiare, ma la somma delle loro necessità per avere un livello di vita accettabile, disegna un volume di beni che fa impallidire quello, già pesantissimo, dell’ Europa e del Nord America. Le esigenze di 7 miliardi di persone che mangiano, desiderano quanto vedono negli spot pubblicitari e si riproducono, sono un impatto superiore alle risorse del pianeta. Valutando quanto la terra può offrire in un anno, potremmo dire che, nel 2011, a settembre avevamo già consumato tutto, e che quanto consumiamo successivamente è già un supersfruttamento alimentare ed energetico con cui, prima o poi, dovremmo fare i conti . Ed ovviamente il ritmo non cala, perché la crescita della popolazione continua .
In questi ultimi decenni, la scienza ha fatto moltissimo per aumentare le produzioni agricole e per ridurne l’ impatto, ma nei decenni precedenti, pur di incrementare la produzione, aveva fatto moltissimo anche per avvelenare l’ambiente. Ed il massimo dei risultati si ottengono solo nella fase iniziale: non dobbiamo più attenderci molto, né in termini di produzione, né di riduzione di impatti. Neppure la scienza fa miracoli: come si vede nel caso del motore a scoppio che, a distanza di 130 anni, continua a non avere né alternative né eredi.
Il terzo cavaliere portatore di distruzione, è la trasformazione del territorio: e segue da vicino la eccessiva crescita della popolazione. Porta distruzione perché il territorio è un bene che disponiamo in quantità finita, come vede bene chi vive in una valle. Non bisogna lasciarlo sprecare perché nessuno colonizzerà i deserti, da cui abbiamo prelevato persino le riserve di acqua fossile, e perché ormai abbiamo quasi cancellato l’ambiente naturale. Ed colpo di grazia deve ancora venire se sarà attuata l’ultima legge sulle foreste approvata dal governo brasiliano e se i cinesi metteranno a coltura gli immensi territori che hanno acquistato in Africa ed altrove. Ma l’ Europa non può far prediche perché già oggi, per vivere consuma sul suolo di altri continenti una superficie di territorio grande quanto la Francia, per coltivazioni di cereali, mais, cotone, soia, frutta esotica, caffè e biocarburanti. E con il territorio, è sparito, o sta sparendo, il paesaggio naturale della terra: ed io che ho potuto vederlo negli anni 70 ed ‘80 , mi sento un fortunato. Questa radicale trasformazione degli habitat naturali ha cancellato la biodiversità genetica e culturale, ma ha anche pesantemente influenzato il clima.
Ed il quarto cavaliere di questa apocalisse ecologica è proprio il clima. Gli eventi climatici hanno un impatto che era sconosciuto, e che impone pesanti sacrifici umani e finanziari in un ambiente urbanizzato all’estremo sotto l’effetto della popolazione e dell’ interesse economico, che ha spinto gli insediamenti umani anche là dove la morfologia del suolo e la storia degli eventi, consigliavano di risparmiarlo . Sommandosi alla trasformazione del territorio, alla crescita della popolazione ed alla speculazione finanziaria mondiale, che si impunta sulle situazione più fragili per trasformare la maggior necessità in maggior guadagno, il clima, con i suoi disastri, ma soprattutto con la sua influenza sulle produzioni agricole, forma una autentica bomba sul futuro, con drammatici scenari di instabilità politica e sociale.
Cosa si può fare ? La globalità dei fatti non deve scoraggiare. Questo problema è affrontabile nelle singole realtà nazionali, tramite l’azione politica verso uno sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo che non è decrescita, ma l’orientamento della produzione là dove questa consente effettivi risparmi in tutti i campi: e quindi di contenere la richiesta umana di beni entro i limiti delle risorse del pianeta , evitando che la scarsità crei crisi e disuguaglianze.
Ed in questo quadro un posto non secondario occupa la rinuncia alle “opere inutili”, in un ciclo virtuoso in cui non solo il cittadino, ma anche lo stato gestisca con oculatezza le sue risorse. E non c’è dubbio che la nuova ferrovia Torino Lione con i suoi 18 milioni di metri cubi di rocce , 6 milioni di metri cubi di cemento, ed un milione di tonnellate di ferro, per la sola parte italiana: a fronte di un calo di un terzo in soli dieci anni, dei traffici stradali e ferroviari sulle infrastrutture esistenti, sia un caso esemplare. Ma lo stesso vale anche per il recentissimo Piano Territoriale della Provincia di Torino che, nonostante si propagandi con lo slogan di “ Stop al consumo del suolo” rilevando nella sua premessa, che negli ultimi 15 anni, pur in presenza di una popolazione stabile, sia andata irrimediabilmente perduta la incredibile percentuale del 15% del suolo utile, prevede poi 221 Km di nuove autostrade e superstrade, ed 85 Km di viabilità “riplasmata”, oltre alla superferrovia Torino Lione. Se può consolare, in Italia, ogni giorno, scompaiono mille ettari di terre agricole e persino nella piccola Svizzera si calcola che ne scompaia un metro quadro al secondo.
E’ per questo che promuovere reciprocamente un modello di cultura sostenibile ed imporlo alle decisioni pubbliche, potrebbe essere non più l’ennesimo slogan, ma una necessità vitale che potremmo trovarci ad affrontare : e prima lo si fa e meglio è.
Mario C.