Leggiamo, da un’intervista a La Stampa, che il dottor Andrea Padalino ha messo in collegamento l’aggressione a un dipendente del ministero della Giustizia con il processo che si aprirà il 22 maggio contro i nostri cari.
Siamo esterrefatti.
Ci domandiamo come il dottor Padalino, che da quel che riporta il giornale non è nemmeno titolare delle indagini, possa fare simili affermazioni a indagini ancora da espletare. Come possa tranquillamente parlare dell’attività dell’ufficio su fascicoli che non gli appartengono.
Ci domandiamo (ma è domanda retorica) a che pro citare un processo, che lo vedrà impegnato come pubblica accusa, con il rischio di influenzare la giuria – prima ancora che il dibattimento abbia inizio – tentando di associare aggressioni e violenze ai quattro imputati.
Anzi, a dirla tutta ci domandiamo anche a che titolo rilasci interviste ai giornali (ma come lui anche il suo collega Antonio Rinaudo) visto che è noto che i rapporti con la stampa sono riservati al procuratore (in questo caso il facente funzioni Sandro Ausiello che correttamente non esterna su indagini appena avviate).
Ci domandiamo infine se non sia il caso che i vertici dell’ufficio contengano i due magistrati mediaticamente sovraesposti – che ricercano in modo attivo questa sovraesposizione – con il risultato di provocare un innalzamento costante della tensione. Chiediamo che cessino comportamenti che mal si conciliano con le caratteristiche di imparzialità e indipendenza costitutive della figura del magistrato e che possono ledere i diritti alla difesa e al giusto processo. In mancanza ci vedremo costretti a rivolgerci al Csm.
I familiari di
Chiara, Niccolò, Mattia e Claudio