Pubblichiamo dalla pagina di Non una di meno Torino la testimonianza di una mamma che è venuta con suo figlio in piazza vittorio per partecipare primo maggio notav
Per i bambini e le bambine difficilmente esistono le sfumature. Esiste il bianco e il nero. Il mondo si divide in buoni e cattivi. Da una parte il bene, dall’altra il male.
Non vado alle manifestazioni con la volontà di indottrinare mio figlio ma con il desiderio di condividere con lui una parte fondante della mia vita.
Ogni volta che mi accompagna ad una manifestazione cerco sempre di spiegargliene le ragioni e di raccontargli perché per la sua mamma è cosi importante essere presente.
La mattina del primo maggio è stato proprio lui a pormi la prima di una serie di domande che lo avrebbero poi accompagnato per tutta la giornata.
Mamma mi vuoi dire perché è cosi importante andare a questo corteo? Il tono – devo dire – era pure un po’ scocciato…gli stavo mettendo fretta e al risveglio la sfida tra draghi e dinosauri è troppo importante per essere interrotta…
Ho tentato di spiegargli cosa siano i diritti e di come vadano difesi, che cosa sia la festa delle lavoratrici e dei lavoratori e a modo nostro forse ci siamo capiti.
Gli ho anche detto che ci sarebbero state tante bandiere notav, ambiente che fin da piccino ha imparato a conoscere frequentando campeggi, presidi e marce.
Cerco sempre di essere sincera con lui, nei limiti di quanto possa essere compreso da un bimbo della sua età…gli racconto di me quando mi chiede, perché oltre a essere la sua mamma sono un sacco di altre cose e ormai se trova qualche parrucca o fazzoletto fucsia in giro per casa sa di che si tratta. “Le cose delle donne di mamma e delle sue amiche delle manifestazioni.”
Non ho mai pensato di dimenticarmi chi ero solo perché stavo avendo un figlio.
La maternità crea solitudine e isolamento, soprattutto all’inizio e se ho potuto viverla in un certo modo, è stato anche grazie al femminismo e alle mie sorelle, che mai hanno smesso di guardarmi come donna e come compagna oltre che come mamma. Il loro sguardo è stato per me uno specchio prezioso attraverso il quale ho potuto riflettermi e continuare a essere me stessa, aldilà degli ovvi limiti di tempo e di spazio all’ attivismo che volontariamente mi sono posta nel decidere di mettere al mondo e prendermi cura di una creatura.
Uno specchio che mi ha fatta sentire sempre libera di scegliere, mai fuori posto o incatenata ad un ruolo che mal avrei sopportato.
Dicevo che in occasione del primo maggio le domande sono state tante. Tanti i perché nati da un’esperienza che mai gli avrei augurato di vivere alla sua età.
Sono arrivata in piazza accolta dal racconto di un’amica che era appena stata bloccata dalla polizia perche il figlio di 10 anni aveva al collo un fazzoletto no tav. Un celerino le ha intimato di togliergielo immediatamente, altrimenti non avrebbe potuto proseguire sotto i portici di via Po.
Immaginate il pericolo che può rappresentare un fazzoletto al collo di un bambino?
Durante le cariche di Piazza Vittorio ce ne siamo stati ovviamente a debita distanza. Ma nonostante non si sia accorto del sangue, dei manganelli, delle urla, è giunta puntuale la seconda domanda del giorno.
Perché la polizia fa passare tutta la gente e noi no? Perché la polizia è in mezzo che divide? Noi non siamo i cattivi perché non vogliono la manifestazione di questa parte?
Io voglio che sia lui a decidere chi sono i buoni e i cattivi, non voglio che le mie risposte siano le sue.
Ma cosa si può rispondere di fronte a domande di questo tipo? Come si può negare un’evidenza che è tale anche agli occhi ancora ingenui di un bambino?
La verità orrenda di un confine invalicabile immediatamente vissuto come un’ingiustizia non comprensibile.
Il resto del corteo in Via Po siamo riusciti a gestircelo camminando serenamente tra la folla, serenità talvolta offuscata dalla presenza asfissiante di decine di celerini sotto i portici…gli stessi che avevano bloccato quel facinoroso di 10 anni di cui raccontavo prima.
Il clima in Piazza Castello e Via Roma era disteso, la folla ai lati applaudiva al passaggio del corteo, si cantava e si chiacchierava…insomma nulla lasciava presagire cosa sarebbe successo da lì a poco in Via Roma.
Ero con altre amiche con figl* a seguito quando veniamo travolte dalle persone che iniziano a scappare per la carica. Improvvisa, violentissima e immotivata.
Mi vola addosso un signore anziano con la bici che mi chiede pure scusa, subito dopo mi ritrovo addosso decine di persone.
Istintivamente scelgo di non correre indietro per evitare la folla e non rischiare di ritrovarmi in mezzo alla celere che avanzava velocemente ma di prendere mio figlio in braccio e correre in avanti per provare a ripararci nel furgone, di fianco a chi in quel momento stava guidando.
In un attimo ci troviamo la celere davanti che non solo cerca di tirarci giù dal furgone ma, appena riusciamo a salirci, inizia furiosamente a manganellare i vetri del furgone, la portiera, il parabrezza che fortunatamente si crepa solo, senza distruggersi in mille pezzi.
Da dentro urlo di smetterla che c’è un bambino ma loro nulla. Il gruppo di celerini che circonda il furgone continua a provare ad aprire la nostra portiera e a manganellare i finestrini. Il nostro, quello di chi guida, il parabrezza…siamo circondati. Insomma a nulla servono le mie urla e i miei pugni contro il vetro per richiamare l’attenzione sulla presenza di mio figlio. Anche la compagna alla guida urla e per fortuna nostra ha la prontezza di chiudere le portiere per impedirne l’apertura dall’esterno.
Abbiamo vissuto in diretta tutta la carica con la gente che veniva manganellata sul cofano, ai lati e davanti a noi. Mio figlio aveva gli occhi sbarrati e non diceva una parola.
Hai paura? Come stai?
Sto bene mamma.
Siamo rimasti dentro il furgone fino all’arrivo in Piazza San Carlo.
Una volta scesi abbiamo ritrovato il babbo e vedendolo mio figlio gli si è buttato al collo e ha solo chiesto di andare via perché aveva fame.
Ho provato a tranquillizzarlo ma forse quella più scossa ero io, pensando a cosa aveva appena visto e vissuto.
Hamburger e patatine hanno risollevato il morale e lui mi ha detto che non aveva più voglia di parlarne ma che si era sentito protetto dalla mia presenza.
Alla fine era lui che tranquillizzava me e mi ripeteva che non aveva avuto paura. Quanto coraggio cucciolo mio.
Il pomeriggio è trascorso giocando con gli amichetti. Spensierato e preso bene come sempre.
La sera a casa sono arrivate le domande, credo più dettate dall’incomprensibilita’ di quanto aveva visto che dalla paura maturata.
Che cosa ci facevano se ci prendevano? Perché ci volevano buttare giù?
Perché volevano rompere il camion?
Perché hanno picchiato le persone?
Ma chi erano i cattivi?
Chi ha vinto alla fine?
…chi ha vinto alla fine…mi ha strappato un sorriso e insieme abbiamo cercato di raccontarci cosa avevamo vissuto.
Il peso della rabbia che mi portavo dentro dal mattino per un attimo si è alleggerito di fronte al suo sguardo sereno e ai suoi commenti sulla “battaglia”.
Ho poi saputo che ad un amico la digos aveva detto che avrebbe fatto meglio a lasciare la figlia a casa.
Grazie per la lezione non richiesta di genitorialità. Maledetti.
Ho 41 anni. Due lavori entrambi precari, di uno prendo lo stipendio se va bene due volte l’anno.
A 18 anni dalla laurea ho collezionato decine e decine di esperienze lavorative.
Eppure un funzionario strapagato del Pd ha più diritto di me a stare in piazza il primo maggio, per lo più difeso da energumeni in pettorina dalla cinghia facile e da uno stuolo di caschi blu.
Quando dico che mi hanno rubato il futuro, come a tant@ della mia generazione, non sto facendo prendere aria alla bocca. Sto dicendo una verità talmente evidente che se solo la voleste vedere vi acciecherebbe lo sguardo.
Non ho molto da offrire a mio figlio, di sicuro tanto amore…ma anche la promessa di lottare ogni giorno perché possa vivere in un mondo migliore.
Chi sono i buoni e chi i cattivi avrà modo di sceglierlo da solo.
Certo è che al primo maggio qualche suggerimento gliel’avete dato.
Con rinnovato disprezzo.
Ci vediamo in giro.