Di Danela Bezzi da Sereno Regis
A che punto è la situazione dopo che un mesetto fa Greenpeace Italia ha diffuso quel suo allarmante rapporto circa i livelli di contaminazione da Pfas e Pfoa (cosiddetti “inquinanti eterni”, provatamene cancerogeni, praticamente ovunque) nelle acque potabili di oltre settanta comuni del circondario di Torino, diciannove dei quali appunto in Val Susa?
A un punto morto sul fronte delle istituzioni. Invece di attivarsi, con ulteriori verifiche e approfondimenti, a integrazione di quanto reso noto da Greenpeace Italia il 6 febbraio scorso, la risposta di Regione Piemonte è stata a dir poco evasiva. E così, a oltre un mese dalla pubblicazione di quel rapporto che evidenziava livelli di contaminazione sorprendentemente alti in zone per lo più montane, per niente (o sparsamente) industrializzate e parecchio distanti dall’area più impattata da Pfas e Pfoa per la presenza della Solvay a Spinetta Marengo Provincia di Alessandria, l’esigenza di capire si fa sempre più impellente ogni giorno che passa, ma resta senza risposte.
Come ci è arrivata fino in alta valle una molecola nota solo per la sigla cC604 (perché essendo coperta da ‘brevetto’ non è dato saperne di più), prodotta esclusivamente dalla Solvay Specialty Polymers – o chi ce l’avrà portata? E come stanno messi gli impianti di trattamento delle acque reflue, o dei percolati delle discariche? E non sarebbe il caso di indagare circa la presenza di questi micidiali “composti poli e perfluoro alchiliche” all’interno del Tav-cantiere di Chiomonte, in perenne (e militarmente difesa) attività giorno e notte, tra procedure di perforazione, scavo, asporto, riporto, va-e-vieni di camion e terre a vari gradi di nocività, in barba a qualsiasi “principio di precauzione”, esenti da qualsiasi controllo da parte degli amministratori che sarebbero preposti alla tutela del territorio…
Non sarebbe il caso insomma di preoccuparsi, convocare tavoli e consulenti all’altezza, valutare le conseguenze potenzialmente disastrose sul piano sanitario, per gli abitanti a rischio Pfas e Pfoa di quei 70 comuni dell’area metropolitana di Torino, che totalizzano un bacino di 125 mila persone, ben oltre il territorio alessandrino e valsusino?
Niente di tutto questo. Dopo le prime dichiarazioni a mezzo stampa con il primario obiettivo di minimizzare il problema (in particolare sulle testate locali) rispetto agli ‘inutili allarmismi’, la risposta di Regione Piemonte è stata di tale opacità, che a fine febbraio Greenpeace Italia ha deciso di rivolgersi alla magistratura con ben quattro esposti: presso le procure di Ivrea, Alessandria, Novara e per l’appunto Torino. In esse non solo si denuncia “una situazione di inquinamento ambientale fuori controllo”, ma si accusa appunto la Regione Piemonte di aver sottovalutato la gravità del problema quando era già ampiamente nota.
Come minimo da mesi, perché veniamo a scoprire che tutta questa storia ha origine da una maxi-inchiesta condotta a livello europeo da un pool di ben 14 testate, da Le Monde a The Guardian (per l’Italia se ne occupò in particolare il team di Radar Magazinein collaborazione con Le Scienze) all’interno del Forever Pollution Project che appurò l’impressionante emergenza-Pfas in tutta Europa, con ben 17mila siti in avanzato stadio di contaminazione e zone di particolare tossicità in Germania, Inghilterra, Danimarca, Francia e appunto nord Italia – come ben visualizza la mappa che pubblichiamo qui, consultabile in modalità interattiva qui.
“La Regione, il massimo organo sanitario, sembra non essere a conoscenza dell’operato delle proprie agenzie o si macchia di un reato per non rispondere alle istanze di Greenpeace. Nell’alessandrino gli enti pubblici hanno permesso per anni l’erogazione di acqua contaminata e si sono attivati solo in alcuni comuni e solo dopo l’interessamento di Greenpeace, omettendo di considerare valori che avrebbero dovuto essere in suo possesso, essendo frutto di analisi e rilievi sulle acque potabili di pertinenza delle stesse ARPA Piemonte e ASL Alessandria, sottoposti alla Regione stessa.
Tutto questo è inaccettabile” ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, nel sottolineare la carenza di risposte e dati utili all’inchiesta, benché sollecitati. “Chiediamo alla magistratura di indagare perché finora chi dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza si è limitato a sminuire il problema, sostenendo che i valori rilevati da Greenpeace sono nella norma. Il punto è che i limiti attuali ci espongono a dosi pericolose di queste sostanze. Esiste, infatti, un evidente scollamento tra le preoccupazioni della comunità scientifica e il limite definito dalle norme europee, pari a 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole, che entrerà in vigore tra l’altro solo nel 2026”.
Uno degli esposti denuncia in particolare la risposta che Regione Piemonte ha ritenuto sufficiente fornire a Greenpeace Italia, nel merito degli esiti delle analisi sulla presenza di Pfas nelle acque potabili: “le informazioni richieste non sono in possesso di Regione Piemonte” dice infatti una missiva per il tramite del Settore Servizi Ambientali, che sostanzialmente rimanda l’organizzazione ambientalista… ai gestori!
Ma ecco che Smat, società preposta alla gestione dell’acqua in Piemonte, in risposta al rapporto di Greenpeace Italia si è affrettata a diffondere una nota circa il fatto che “l’acqua prodotta e distribuita ai cittadini dell’Area Metropolitana è sicura, controllata e rispetta tutti gli standard sanitari”.
“In risposta alle preoccupazioni riguardanti la presenza di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche) nell’acqua distribuita – si legge nel comunicato Smat – la direttiva europea 2184 del 2020, che sostituisce la precedente 98/83/CE, introduce alcuni importanti cambiamenti per migliorare la protezione della salute umana e fissa i valori limite per nuove sostanze tra le quali proprio i Pfas, individuando 20 composti la cui sommatoria non deve superare i 100 nanogrammi/litro ossia 0,1 microgrammi/litro (1 microgrammo equivale a 1 milionesimo di grammo), limite che entrerà in vigore da gennaio 2026 ecc ecc…”
Per niente rassicurati da queste dichiarazioni, gli abitanti della Val Susa non hanno perso tempo e dopo una serie di incontri preliminari circa un’emergenza che mai avrebbero immaginato di dover fronteggiare come se non bastasse il TAV, si sono riuniti in pubblica assemblea il 6 marzo scorso nella Sala Parrocchiale di Chiomonte – e un prossimo appuntamento è previsto entro fine mese.
“Sembra di essere tornati ai bei tempi degli inizi” era il commento che accompagnava la foto della sala gremita di gente, subito virale sulle varie chat della Val Susa.
“In effetti era da tanto che non si vedeva una risposta così partecipata” mi conferma Marina Clerico, Docente di Ingegneria dell’Ambiente al Politecnico di Torino oltre a far parte della Commissione Tecnica al lavoro sul Tav e del Consiglio Comunale di San Giorio. “E partecipazione di una cittadinanza che ha il diritto di sapere e giustamente si aspetta di ricevere delle risposte all’altezza della gravità della situazione.”
Tra i 72 comuni impattati dall’inquinamento PFAS/PFOA e analoghi composti chimici in Piemonte, diciannove si trovano infatti in Val di Susa, e non solo in bassa valle, che potrebbe ‘vantare’ una passata attività industriale ben poco rispettosa dell’ambiente (pensiamo agli impianti delle acciaierie Beltrame, al dinamitificio Nobel di Avigliana, agli interramenti di materiali tossici nelle aree ex boschive di San Didero, attualmente militarizzate per via dell’autoporto), ma persino a una certa altitudine.
Chiomonte, Venaus, Cesana, Bardonecchia, per non dire Gravere e la sovrastante frazione Madonna della Losa, a oltre 1000 mt di altezza, che presenta la somma di Pfas più alta in assoluto, ben 96 a fronte dei 10 di Salbetrand, Susa, Oulx, Exilles sulla base di prelievi effettuati nello stesso periodo, marzo-aprile 2023. Come è stata possibile una così elevata presenza di perfluoro alchilici nelle acque potabili di comuni lontanissimi da Spinetta Marengo o fonti comparabili di contaminazione?
È l’interrogativo su cui si sono confrontati un po’ tutti gli interventi (tutti importanti, particolarmente autorevole quello di Stefano Polesello, ricercatore CNR-IRSA, da anni al lavoro sul problema-Pfas in Italia) che si sono succeduti nella serata del 6 marzo scorso a Chiomonte, che non mancherà di sollecitare ulteriori approfondimenti di qui in poi – come è possibile rivedere nell’ottima registrazione fornitaci da Camilla Pasini e Pierluigi Tarabini che ringraziamo. (Per facilitare la visione ecco il sommario: Alberto (nel ruolo di moderatore) dal min 0.36; Fabio Rotondo, coordinatore Greenpeace Torino, dal min 11.07; Stefano Polesello, ricercatore CNR IRSA, dal min 21.30; Giovanna Dal Lago, Comitato Mamme No Pfas, dal min 49.20; Egio, Comitato Stop Solvay, dal min 1.00:10; Mario Cavargna, Pro Natura, dal min 1.09; Marina Clerico, Docente di Ingegneria Ambientale Politecnico di Torino: dal min 1,27).
Ma come ha giustamente sottolineato Marina Clerico, nell’intervento che ha concluso la serata “le risposte devono arrivarci da chi ci governa, da chi è preposto all’amministrazione di questi territori, ed è un nostro preciso diritto esigerle!”
Prepariamoci dunque all’ennesimo ‘braccio di ferro’ tra enti ‘preposti’ e popolazione, sul fronte di questioni che dovrebbero essere di capitale importanza come la tutela della salute e dell’ambiente. Nell’attesa di vedere gli sviluppi, non ci resta che sostenere in tutti i modi possibili la campagnainaugurata da Greenpeace Italia, a cominciare dalla sottoscrizione e massima diffusione della petizione lanciata innanzitutto al Governo, Parlamento e vari Ministeri competenti per “varare in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica.”