(fonte Max Gazzetta.it )Nel finesettimana appena trascorso, tra il 9 e il 15 aprile, l’hanno visto in 99.602 persone. Che, per un film impegnato e crudo come Diaz, è un buon risultato (era in nona posizione, al seguito, per darvi un’idea, di Titanic tra gli stranieri e Buona giornata dei Vanzina tra gli italiani). Nel primo weekend di programmazione il film di Daniele Vicari sul G8 di Genova fa discutere anche le sale italiane, così come aveva scosso la platea del Festival di Berlino (premio del pubblico).
Tra i suoi interpreti, uno dei pochissimi nomi noti del cast, Elio Germano. «Ho partecipato al progetto perché ci credevo», ha raccontato a Max, nel corso dell’intervista pubblicata sul numero di aprile, in edicola, «e il set è stato esattamente come doveva essere. Eravamo 140 attori da tutta Europa e ciascuno di noi valeva uno. Per questo Diaz è un film diverso dagli altri: non c’è stato mai un confronto con la performance, nessuno cercava di dimostrare di essere bravo o di fare più del dovuto. Tutti eravamo al servizio della storia, ci siamo sentiti parte di una collettività. Così si sentivano anche i ragazzi che manifestavano a Genova: ciascuno di loro valeva per se stesso». Ha aggiunto: «Si scende in piazza per affermare qualcosa in cui si crede, esattamente come chi abita in Val di Susa, oggi, blocca l’autostrada per protestare contro la Tav».
Guai a chiamarlo popolo, a etichettare l’uno o l’altro come movimenti… «Sono solo etichette: quelli eravamo noi, siamo persone». Poi, di nuovo a proposito del film: «Non c’è niente di più bello della condivisione. Dà più soddisfazione di uno stipendio lauto, che poi devi tradurre in cose comprabili che ti diano lo stesso piacere». Elogio del bene comune: vale sul set di Diaz come al Teatro Valle, a Roma, occupato nel giugno 2011 dai lavoratori dello spettacolo, Germano compreso. «Ci sono appuntamenti ogni sera. Sul palco si alternano l’attore sconosciuto e Gifuni, quello semisconosciuto e io. E non è detto che il pubblico si fermi ad ascoltare me o un altro noto.
C’è chi mi ha urlato “ridammi i soldi”, chi era distratto e parlava col vicino. La gente entra e esce, decide se restare in base a quel che vede. Tanto non ha pagato 35 euro di biglietto come chi va a vedere Ronconi. Questo è il teatro, pubblico come dovrebbe essere il teatro». A descrivere la scena, l’attore che tutti i registi oggi vorrebbero (pagare). «Così dovrebbe funzionare anche la Rai, per esempio… A cominciare dal cda, che dovrebbero eleggere gli abbonati». Sovversivo, ispido, Germano non risparmia critiche neanche al governo: «se ci servisse un idraulico, avrebbe senso chiamare un tecnico. Ma quello che servirebbe è un pensiero, un governo di filosofi che ci ridessero un senso».