La viticoltura, introdotta in Piemonte già dagli Etruschi, e poi diffusa con i Romani, è ancora praticata con grande fatica sui ripidi versanti delle montagne della Valle di Susa: da Gravere a Giaglione a Chiomonte e Exilles.
I resoconti dei viaggiatori verso il Moncenisio insistono già nel Cinquecento a ricordare “la campagna intorno e il colle coperti di vigne”. I vini di queste terre, come l’Avanà e il Becquet, erano ambiti nel Seicento sulla tavola del delfino di Francia.
Oggi questa viticultura montana, giustamente sostenuta dai finanziamenti comunitari, rischia una rapida scomparsa a causa dell’inquinamento da polveri di ogni genere prodotto proprio qui dal previsto cantiere della Maddalena di Chiomonte per il cunicolo esplorativo di del TAV.
Da circa quindici anni alcuni agricoltori hanno cominciato a recuperare i terrazzamenti abbandonati dal secondo dopoguerra: li hanno sistemati pietra su pietra, hanno piantato nuovi pali tutori, hanno messo a dimora le nuove vigne su un terreno che per pendenza fa concorrenza ai vigneti delle Cinque Terre.
Ora, dopo enorme fatica e grandi sacrifici economici, corrono il rischio di vedere andare in fumo il loro lavoro e il loro tentativo di recuperare una tradizione e una cultura secolare.
No al TAV che uccide il vino della Valle di Susa
No al TAV che uccide il lavoro dei viticoltori della valle
No al TAV che uccide la speranza di un’economia locale enogastronomica libera dai monopoli dell’industria alimentare
Il movimento NOTAV, una garanzia per il futuro
Chiomonte, 29 maggio 2011