Di seguito le parole di Nicoletta che raccontano la giornata di domenica 23 gennaio, data in cui la Carovana per Emilio ha attraversato la Valsusa da San Didero a Claviere portando ovunque messaggi di solidarietà e libertà.
Domenica 23 gennaio: è il giorno della carovana “ Emilio libero”, che percorrerà la Valle fino alla frontiera .
Il piazzale del presidio di San Didero si riempie di auto. La mattina è di sole velato, ma il cielo pallido già primaverile è smentito dall’aria pungente che sa di gelo.
Nostra meta sono i monti che si ergono sullo sfondo, ancora carichi di neve, promessa di svago e di aria salubre per i turisti degli sport invernali, ma trappola mortale per chi, clandestino e mal equipaggiato, cerca di passare il confine verso la Francia. A quella frontiera e su quei sentieri Emilio non ha fatto mancare la sua mano forte e solidale, ecco il reato per cui è recluso in un carcere francese, a monito di chi non si piega.
Di quanto gli viene imputato come crimine siamo e ci sentiamo concretamente complici.
E proprio questo dicono i volantini che saranno distribuiti lungo il tragitto, i cartelli esposti sulle auto, gli striscioni che lasceremo nei paesi: “ Con Emilio su quei sentieri c’eravamo tutte e tutti”.
Nel piazzare fervono i preparativi, si intrecciano i saluti. Si ritrovano persone venute anche di lontano ed è bello prepararci ancora una volta a “partire e tornare insieme”. Intanto, nel fortino di rimpetto si esibiscono mezzi e divise, compaiono teleobiettivi, ma questa volta nessuno li degna neppure di uno sguardo.
Finalmente la carovana si avvia, in testa il veicolo con enormi casse per amplificare voci e musica. Così pavesato di striscioni gonfiati dall’aria, più che un furgone sembra un vascello pirata che inalbera la bandiera bucaniera.
Nello spiazzo dell’hotel Paradise stazionano tre blindati e varie auto della Digos, pronti a partire; ce li troveremo davanti, di fianco, dietro, lungo tutta la manifestazione.
Si sfila con brevi soste a Bussoleno e a Susa ( che malinconia passare davanti alla casa di Emilio, rivedere il breve spiazzo dove, durante l’attesa di estradizione, piazzammo il gazebo, per stargli vicini e lui, recluso ai domiciliari, non potendo uscire fuori dal perimetro della sua casa, compariva oltre la recinzione per offrirci qualcosa di caldo, preoccupato per ognuno di noi…).
I paesi dell’Alta Valle sembrano deserti, con le case silenziose e le saracinesche dei negozi abbassate (il traffico verso i campi da sci passa sull’autostrada che ha rubato spazio a vigne e coltivi, portando via risorse e deturpando con gli alti piloni la bellezza dei luoghi) . Si apre qualche finestra, qualcuno esce richiamato dalla musica, prende volentieri il volantino. A Chiomonte Marisa e Gildo, nostri compagni di tante lotte, sono sulla porta di quello che fu il loro negozio di alimentari a salutarci .
Fermata obbligata a Oulx.
La stazione ferroviaria è una tappa cruciale di transito per quanti cercano di raggiungere la frontiera, l’ultima sosta prima della lunga salita che li porterà al confine del Monginevro, Di qui parte anche il servizio autobus per i campi da sci di Cesana, Claviere e Sestrieres, riservato ai turisti e vietato ai migranti. Nei pressi della stazione una cooperativa diocesana ha aperto un punto di accoglienza notturna. Invece è stato sgomberato e chiuso l’altro rifugio totalmente autogestito e aperto giorno e notte, la ex casa cantoniera, occupata dopo lo sgombero del sottochiesa Chez Jesus di Claviere, l’occupazione che ha visto come acerrimo nemico proprio il parroco, un vecchio prete evidentemente dimentico del messaggio evangelico.
Attraversiamo Oulx nel primo pomeriggio. Turisti ai tavolini a godersi il solicello. Occhiate tra l’interrogativo e l’ironico alle scritte, alle bandiere NO TAV, a questa nostra flotta che risale la montagna quando gli sciatori del fine-settimana si preparano a ridiscendere.
Dopo le ultime costruzioni ci viene incontro la casa cantoniera, abbandonata: brandelli di striscioni scoloriti, catene arrugginite al cancello, i sigilli del sequestro volati chissà dove. Invece continuano a pesare le denunce e stanno partendo i processi contro i solidali.
A Claviere non si entra: un fitto cordone di poliziotti in assetto antisommossa blocca l’ingresso del paese.
Non resta che imboccare il tunnel di circonvallazione verso Montgenèvre.
Ma se la prima parte del corteo ce la fa ed esce “a riveder le stelle”, un buon numero di auto rimangono intrappolate a respirare l’aria mefitica della galleria, mischiate ai veicoli francesi, bloccati perché anche dalla parte francese la frontiera è stata chiusa al traffico.
A questo punto, si decide di invertire la marcia e di attestarci a valle. Chi potrà, entrerà in paese a piedi e proseguirà verso il confine.
Nella via centrale di Claviere imperversa lo struscio della domenica pomeriggio: gente in tenuta da sci, bar affollati, pasticcerie e negozi sportivi scintillanti di luci, piazzali affollati di auto e torpedoni, chiesa blindata.
Incontro famigliole sorridenti, di ritorno con i bambini dalla passeggiata sulla neve e il pensiero corre ad altre famiglie, male in arnese, i bambini tristi, il passo incerto, lo sguardo smarrito, pochi bagagli…
All’altro capo del paese ancora un cordone di armati, che aggiro infilando un sottopasso.
Ed ecco finalmente le auto, la musica, gli interventi, le bandiere, i cartelli, il cibo condiviso della carovana per Emilio.
Il confine è lì, a poche centinaia di metri, protetto da una barriera di armati che sbarra la strada e si allunga attraverso le piste fino ai balzi di roccia e alle pinete che ricoprono i pendii. Altre le insegne, altre le divise, identica la spavalda, minacciosa immobilità.
Ma intanto è giunta l’ora del rientro.
Mentre si ritirano cibo ed oggetti e si organizzano posti in auto per gli appiedati, ricomincia la circolazione. Da un furgone diretto in Francia si sporge una faccia sorridente: l’automezzo è uno di quelli che percorrono l’Europa per trasporti a cottimo e senza contratti. I manifestanti in frontiera conoscono l’autista per averlo incontrato più volte. Accetta di buon grado il cioccolato, il panino, la bibita che gli viene offerta, poi un saluto gioviale e via.
All’altro capo del tunnel ci attende quel che resta della carovana.
Ripartiamo mentre il buio sale lungo le rocce su su fino a spegnere l’ultima luce.
Il freddo si fa gelo. Forse anche stanotte qualcuno tenterà di passare….