Lunedì 3 dicembre, una giornata gelida e non solo dal punto di vista meteorologico. Al mattino, quando alle sei siamo partiti, sapevamo che non sarebbe stato facile: le espulsioni dei due giorni
precedenti ai danni di chi voleva partecipare al contro-vertice di Lione parlavano chiaro sul probabile destino della spedizione.
Tutto è già stato raccontato sulle interminabili soste ai posti di blocco, sotto il tallone di ferro di una gendarmerie la cui efficienza repressiva, supportata da un enorme spiegamento di forze, ci ha dato ancora una volta l’immagine reale dell’Europa dei banchieri, forte coi deboli e debole coi forti: l’essere fermati, schedati, umiliati, fatti partire e fermati di nuovo, non chiaramente espulsi, ma ritardati in modo da farci saltare l’appuntamento; la situazione sbloccata solo dalla minaccia di occupare l’autostrada; l’arrivo con dieci ore di ritardo, scortati da decine di blindati, in una città sotto assedio, divisa in due dalla zona rossa decretata a proteggere il vertice dei potenti; il concentramento in una piazza periferica, chiusa da ogni parte con reti e cordoni di agenti in assetto antisommossa, sulla quale volteggia implacabile l’elicottero che ha sorvegliato dall’alto l’ultima parte del nostro viaggio.
Alberi scheletrici e selciati bagnati dalla pioggia fanno da contrappunto alle figure armate che ci fronteggiavano implacabili e stanno in agguato tra tetti e balconi.
Le manifestazioni d’affetto e i fuochi d’artificio in pieno giorno con cui i NO TAV francesi ci accolgono non attenuano il senso di oppressione, come in una prigione a cielo aperto.
Si avvia una breve assemblea; viene deciso di tentare un corteo, che però si arresta dopo poco decine di metri, contro reti, scudi, spray al peperoncino e idranti; un ragazzo investito da un getto di spray boccheggia e si copre il volto ustionato; il cerchio della polizia si stringe; nella sera che avanza le luci dell’elicottero puntano la piazza, mettono a nudo volti e movimenti.
Si resiste.
A notte fatta, il momento più difficile: i nostri pullman accendono i motori per il ritorno, la gente comincia a salire; la piazza resta blindata, una vera trappola, soprattutto per i manifestanti francesi che rimarranno soli dopo la nostra partenza e che, in ultimo, mischiati a noi, cercano di raggrupparsi e di uscire compatti, tra un pullman e l’altro. A questo punto parlano i manganelli, gli armati avanzano, salgono sui pullman per tirare giù quanti si sono rifugiati tra di noi; gli abitacoli diventano irrespirabili per l’uso dei lacrimogeni; le persone vengono malmenate; su un pullman, messo da parte l’autista, guida la police.
La piazza appare più che mai, con evidenza fisica, la metafora dei due mondi contrapposti: uno, il potere subdolo e violento che siede in palazzi inaccessibili, a tramare in guanti bianchi, sulla pelle di tutti, i propri sporchi affari e affida ai suoi servi armati il lavoro sporco; l’altro, la parte migliore del popolo, quella che non ha dimenticato Valdo e i Poveri di Lione, l’imperativo rivoluzionario alla libertè egalitè fraternitè, le barricate del ’48, il sogno breve ma concreto della Comune, la Resistenza, la cultura di accoglienza nei confronti dei rifugiati di tutto il mondo, le lotte operaie e studentesche.
Intorno, una città indifferente, assordata dal TGV, oppressa dalle difficoltà quotidiane e tuttavia incapace di immaginare una vita diversa ; ma la Francia futura è con noi e ha il volto di quei giovani, di quelle ragazze che fanno rivivere la bellezza e la forza contagiosa della Libertà che guida il popolo: sono loro la speranza, la certezza della lotta e della vittoria comune .
Infine,il viaggio di ritorno, prima sotto scorta di decine di blindati, poi nel silenzio della notte innevata, su strade coperte da un manto ancora intonso, tra foreste che dormono sotto una spessa coltre candida.
Partire insieme, tornare insieme: sempre più difficile, ma possibile, anzi necessario.
Ce n’est qu’un début, continuons le combat!
Apprendiamo con rabbia che tra i compagni francesi ci sono stati 54 fermi, di cui uno tramutato in arresto: in queste ore il compagno sarà processato per direttissima. La solidarietà della Valle che resiste non può e non deve essere formale.
Nicoletta Dosio