da spinta dal bass – È notizia di stamane: “Tav, arrestato uno degli ex titolari dell’Italcoge. Ferdinando Giosuè Lazzaro è accusato di turbativa d’asta. L’azienda della Val di Susa finita nell’inchiesta sull’infiltrazione della ’ndrangheta nei lavori dell’Alta Velocità”, così titolava la normalmente compassata Stampa di Torino. Uno dice, “ma che c’entra il Tav? Lo hanno arrestato per false fidejussioni”. C’entra perchè la fidejussione falsa si va a incuneare in quei fatidici mesi del 2011. Tutti ricordiamo lo stemmino dell’Italcoge, la ditta di Lazzaro, sulla ruspa che scortata da migliaia di agenti sfondava il 27 giugno 2011 le barricate della Maddalena. Quella ditta, che aveva preso da Ltf degli appalti per il cantiere di Chiomonte, fallì il 28 luglio 2011, ma dalle sue ceneri nacque l’Italcostruzioni, che potè acquisire un ramo dell’Italcoge a Novembre 2011 comprendente mezzi, autorizzazioni di legge (trasporto conto terzi e ad operare nel settore ambientale), le certificazioni necessarie a partecipare ad appalti e lavori pubblici, nonché il subentro nel consorzio “Valsusa”. Potendo così continuare a lavorare alla Maddalena, proprio grazie alla fidejussione per cui oggi Lazzaro è in galera.
Ora sarebbe un gioco semplice ricordare quel periodo in cui Ferdinando Lazzaro fu oggetto di una quasi-beatificazione in vita: fra interviste e comparsate televisive era l’imprenditore del Tav per antonomasia.
Ma preferiamo ricordare altro. Per esempio il ruolo di Lazzaro nel sistema Tav e i suoi rapporti con Ltf, così come emergono dalle carte dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta denominata San Michele, sintetizzate in un articolo dell’Espresso di pochi mesi fa (le sottolineature sono nostre):
“Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine, entra nell’affare alta velocità grazie a Ferdinando Lazzaro, che aveva ottenuto in appalto dal committente Ltf-Lione Torino i lavori di preparazione del cantiere, dove si doveva svolgere lo scavo del mega tunnel [in realtà non è il tunnel di base ma quello esplorativo] tanto contestato dalla popolazione della Val di Susa. Inizialmente la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce. Ma «Lazzaro continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminare che ha firmato l’ordinanza.
L’imprenditore in pratica crea una nuova società, la Italcostruzioni, e prosegue senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più. Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa».
Mentre Giovanni Toro però è indagato per concorso esterno con il clan crotonese, Lazzaro è soltanto inquisito per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere. Scarti, hanno assicurato gli inquirenti in conferenza stampa, che non c’entrano con il sito di Chiomonte. Ma su questo le verifiche dovranno continuare. Anche perché in un passaggio dell’ordinanza Toro fa riferimento a dei rifiuti da smaltire reimpiegandoli nei lavori Tav.
È stato Ferdinando Lazzaro quindi, secondo le indagini, a portare Toro nel cantiere più contestato d’Italia. Anche se a Toro mancavano le autorizzazioni. Infatti, Toro, agitato perché non sapeva da dove far passare i suoi camion, privi delle necessarie autorizzazioni, si sentiva rispondere da Lazzaro che per i permessi ci avrebbe pensato lui: «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente, che dobbiamo passare per forza da lì… mi devi mandare le targhe per email o per fax come vuoi». E, in altri dialoghi, a Toro viene chiesto di inviare in cantiere una «pala gommata».
L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».
Dialoghi che mostrano l’interesse pieno di Toro nei lavori Tav. Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere, è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza. Tra le oltre 900 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è anche un commento di Toro sulla qualità della posa dell’asfalto, secondo lui fatta «con modalità approssimative».
[…] Delle imprese Toro e Lazzaro però c’era anche traccia nei documenti sequestrati ai militanti No Tav. Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale. Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione.”