Di ritorno dalla Val di Susa riporto queste impressioni:
Il movimento No tav, dopo l’allargamento del cantiere, e l’episodio di Luca Abbà, si è radicalizzato. Non tanto nelle sue componenti antagoniste, quanto in quelle valsusine. La scelta trasformare gli atti di protesta illegali, come l’occupazione dell’autostrada, in prassi quotidiana è condivisa da tutto il movimento, senza distinzioni sociali, anagrafiche o di provenienza politica.
Al di là delle definizioni (resistenza o insurrezione?) il salto di qualità è esistenziale: esporsi continuamente alle conseguenze fisiche e legali di azioni illecite, da parte di anziani, madri e padri di famiglia, operai, cassaintegrati, studenti, comporta un cambiamento nella percezione che il movimento ha di sé rispetto al resto. Accade che la radicalizzazione scavi solchi con l’esterno, e appiattisca le differenze culturali interne. Diventa impossibile, vista anche la frequenza e la durata delle azioni, contenere, da parte ad esempio degli amministratori locali no tav, il protagonismo delle componenti più esasperate. Si tratta di gruppuscoli difficili da incasellare o definire, che vivono un rapporto paranoico con i media e con la polizia. Da qui gli intollerabili episodi di intimidazione. In questo quadro esplosivo il confronto – nelle istituzioni, nelle università, persino in tv – sulle ragioni dell’opera e su quelle di chi la contesta, resta l’unica strada percorribile. Il dato da cui partire, e da studiare, è questo: il traffico merci su quella tratta diminuisce lasciando in gran parte sottoutilizzata la linea esistente, con un trend opposto a quello previsto quando l’opera fu pensata.
C’è un altro dato: quelle che apparivano ad alcuni come qualunquistiche accuse dei no tav stanno trovando conferme drammatiche. Gli unici lavori finora eseguiti nel cantiere sono stati affidati a due ditte locali che avrebbero avuto rapporti con la ‘ndrangheta. Lo sostiene un rapporto dei carabinieri, nell’ambito della maxi inchiesta Minotauro sui rapporti tra mafia e appalti in Piemonte, di cui ha dato notizia il quotidiano la Stampa. I carabinieri, chiamati a disperdere i manifestanti con lacrimogeni, idranti e manganelli, contemporaneamente indagherebbero sulle ditte che realizzano l’opera contro la quale i manifestanti protestano.