Anche Greenpeace, dopo Amnesty International prende parola sull’assurda sentenza che ha colpito Dana, di seguito l’articolo apparso sul loro sito.
Con Dana è sotto attacco la nostra libertà di manifestare e protestare pacificamente
L’arresto e la detenzione (due anni) dell’attivista no TAV Dana Lauriola è un problema che non riguarda solo chi, come gli attivisti di Greenpeace, si dedica alle proteste nonviolente.
Con altre 300 persone Dana Lauriola (il 3 marzo 2012) ha inscenato una manifestazione pacifica al casello di Avigliana dell’autostrada Torino-Bardonecchia. In pratica, è “responsabile” di aver fatto passare, senza pagamento del pedaggio, un certo numero di automobili. Un “danno” quantificato in poche centinaia di euro che lei e gli altri attivisti hanno da tempo rimborsato. Evidentemente, il punto non è quello.
Il punto è che in questi ultimi anni si è sempre più limitata la libertà di manifestazione del pensiero anche in contrasto con quanto previsto nella costituzione. Tale atteggiamento mostra la profonda paura che lo Stato, nelle sue varie articolazioni, ha per coloro che esprimono opinioni non conformi a quelle ufficiali. Questo è gravissimo ed è esattamente l’opposto di ciò che deve essere una democrazia che si basa sulle libertà fondamentali che sono parte intoccabile ed indiscutibile del contratto sociale sotteso al vivere civile di uno stato di diritto e non di polizia.
L’idea che una persona, come in questo caso, venga condannata perché non si è “pentita” delle sue opinioni (espresse peraltro in maniera nonviolenta) è abominevole. Che questo presunto crimine sia poi “aggravato” dal luogo di residenza del “condannato” (quella Val di Susa dove centinaia di altre persone protestano per una scelta che ritengono esser stata presa sulla propria pelle) lo è forse anche di più.
Non possiamo che esprimere la nostra solidarietà a Dana Lauriola (e a Nicoletta Dosio, come Dana condannata e scarcerata di recente solo per via del rischio contagi nelle carceri, oggi ai domiciliari) e a tutti coloro che non si pentono per la loro libertà di pensiero, per il loro attivismo nonviolento e che testardamente vogliono continuare a vivere dove sono nati e a lottare per un futuro migliore anche per la loro “casa”.