«Le donne e la natura sono unite non nella passività,
ma piuttosto nella creatività e nel mantenimento della vita»
Vandana Shiva
Violenza sulle donne e violenza sulla terra
La violenza nei confronti delle donne e la violenza nei confronti della terra sono tematiche che dovrebbero essere affrontate insieme, tenendo conto che entrambe (la terra e le donne) soccombono in questo modello di sviluppo che porta con sè autoritarismo e impoverimento economico e culturale. Entrambe possono essere usate come merce e possono diventare oggetto di profitto. Donne e terra sono naturalmente legate per la potenza generatrice e rigeneratrice di entrambe.
In val di Susa, la ventennale lotta contro la costruzione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione ha espresso in maniera più chiara questo legame tra donna e terra. Ci siamo ritrovate particolarmente attive nella difesa della terra, delle sue risorse e contro lo spreco del denaro pubblico in opere dannose e inutili. Ci siamo mobilitate in difesa della terra poiché sappiamo che, da questa tutela, dipendono il presente e il futuro. Attraverso la lotta per la difesa della terra abbiamo acquisito maggiore consapevolezza di noi e del ruolo che vogliamo giocare in questa vicenda, esprimendo il nostro protagonismo e assumendoci la responsabilità di contrastare questo modello di sviluppo (sviluppo?), che impone la rapina sistematica delle risorse naturali e che produce ingiustizia sociale e, come diretta conseguenza, violenza. Cerchiamo di non delegare la cura del territorio ad altri, convinte che la presa in carico soggettiva e collettiva sia l’unica via per la salvaguardia dei beni comuni.
Ciò che questo modello di sviluppo “a crescita infinita” significa per le donne in termini di qualità della vita è chiaro: siamo le prime ad essere licenziate e le prime a pagare i costi umani dei tagli ai servizi, alla sanità, alla scuola, alla cultura. Sono i nostri corpi ad essere violati, poiché considerati alla stregua di merce di cui disporre. Siamo noi che veniamo uccise se pratichiamo la nostra autonomia dal marito, convivente, fidanzato, padre o fratello (non solo all’interno delle comunità islamiche ma anche nella tanto propagandata famiglia-valore cattolica) ed è su di noi che si pratica lo stupro nei territori di guerra. Ma non solo. Questo sistema determina ancora schiavitù per le donne: la cura dei figli e della casa, l’assistenza ai malati, anziani o disabili rimane ampiamente a carico delle donne. Questo prezioso lavoro non viene retribuito poiché considerato “naturale”.
La pratica della nostra partecipazione alla lotta al Tav ci ha dato l’opportunità di sperimentare anche fruttuose collaborazioni col genere maschile. E’ risaputo che i presidi, importanti forme di aggregazione per la lotta, hanno visto una contaminazione dei ruoli non indifferente. La presenza delle donne ha favorito una cultura del rispetto delle persone e anche delle “cose”, intendendole come beni comuni. Non siamo, come Movimento No Tav, alieni da episodi di sottocultura di stampo maschilista e, per questo, chiediamo agli uomini nel movimento di fare la loro parte nella pratica di relazioni anti-autoritarie e rispettose delle differenze.
Spesso il Movimento No Tav è stato definito “conservatore”. Vogliamo riappropriarci di questo termine nella sua accezione positiva poiché la cultura dello spreco non appartiene alle donne. Storicamente, esse hanno messo da parte, tenuto in conto e riutilizzato invece di sfruttare ulteriormente le materie prime. Conservare per riutilizzare è l’opposto di consumare e riteniamo necessario andare sempre di più in questa direzione.
La violenza della cultura patriarcale verso le donne l’abbiamo sperimentata, qui in valle di Susa, in molti modi: attraverso l’arroganza dei politicanti locali di turno – maschi ma anche femmine, vittime, serve o complici della dominante cultura maschile – nei confronti delle cittadine, considerate ignoranti e retrograde se vogliono conservare e difendere la terra. Basti pensare a come sono state liquidate dalla sindaca di Susa, in poco tempo e con poche parole, le donne preoccupate per l’abbattimento delle proprie abitazioni per far spazio alla stazione internazionale del Tav o alle non risposte del primo cittadino di Giaglione alle donne preoccupate per l’acqua oppure, solo per fare qualche esempio, alla boria di Pinard, sindaco di Chiomonte, all’indomani dello sgombero violento della Libera Repubblica della Maddalena, dove le donne furono stanate dalle cucine a suon di lacrimogeni dalle truppe d’occupazione.
La stessa violenza della cultura patriarcale torna nella violenza fisica e verbale delle forze dell’ordine, su mandato dei diversi governi. Violenza che abbiamo subito coi nostri corpi malmenati, le nostre carcerazioni, con gli insulti malcelati delle guardie – ma non solo delle guardie – che si chiedono perché tutte queste donne non se stiano a casa. E ancora violenza abbiamo dovuto subire, imparando come possa essere anche una donna a lasciare a lungo un figlio nostro su una pietra a sanguinare, rallentando i soccorsi l’8 dicembre 2011, se questa donna indossa una divisa e rappresenta la legge.
Ancora violenza, quando ci è stato detto che non potevamo essere buone madri se avevamo “l’ardire” di portare i nostri figli alle manifestazioni e se volevamo insegnare loro a pensare con la propria testa e a difendere la propria terra dalle prevaricazioni.
Che dire, poi, del silenzio dei residuati femministi storici della “Torino bene” e dintorni, donne emancipate e colte, che da più di vent’anni sono sorde alle grida di aiuto della terra di Valsusa e delle sue donne? La chiarezza non fa difetto al Movimento No Tav né alle donne e, dunque, diremo che riteniamo complici di questa barbarie globalizzata tutte le attiviste dei partiti e dei sindacati che non praticano l’autonomia di pensiero nonché la disobbedienza sulle scelte politiche ed economiche che riguardano i territori e i beni comuni. Queste donne recano offesa a tutte le altre donne e ai percorsi di liberazione.
Le donne che, al contrario, praticano l’autonomia di pensiero sono, spesso, nuovamente vittime. Ne è un esempio l’ex sindaca di Avigliana che è stata radiata dal suo partito (il Pd) per avere scelto di tutelare il territorio e la sua gente. A queste donne va la nostra solidarietà.
Siamo qui, in Valsusa, siamo al (il) centro di una bellissima lotta popolare dove le ideologie sono state bandite, la non-delega è una realtà e l’autoritarismo lo affrontiamo con la forza popolare. A partire da qui, ma soprattutto adesso, noi donne possiamo fare la differenza.
DonneInMovimento