da lunanuova bisettimanale di informazione locale della valle di Susa e della cintura ovest di Torino. Articolo in terza pagina dell’edizione cartacea di martedì 8 ottobre 2013 acura di marco Giavelli
Per il popolo No Tav, l’incontro con Erri De Luca è stato come una boccata d’ossigeno, come un’iniezione di fiducia in uno dei momenti più delicati nella storia del movimento. Un’occasione per ricaricare le batterie, un incoraggiamento a non arrendersi, a tirare dritto, perché quella di resistere alla grande opera, secondo lo scrittore napoletano, è la strada giusta. E da queste parti la parola di uno come lui, piaccia o no, conta. De Luca lo aveva detto fin da quando, poche settimane fa, le sue dichiarazioni sul sabotaggio come unica via rimasta per fermare i cantieri avevano scatenato un mare di polemiche nel mondo politico e intellettuale: «Presto tornerò in valle di Susa». Ad invitarlo è stato il professor Gigi Richetto, che sabato lo ha affiancato sul palco di Susa durante una serata il cui tema era “La custodia della terra nella scrittura sacra”. Non la classica serata No Tav, fatta di interventi dal palco, di analisi del momento e delle prospettive di lotta, ma una serata per riflettere, a bocce ferme, sul senso più profondo di una lotta che per De Luca è anzitutto «legittima difesa».
Ma prima di salire a Susa, De Luca è stato accolto in quello che rimane tuttora il simbolo di un fenomeno sociale ormai diventato oggetto di studio anche nelle Università: il presidio No Tav. Come biglietto da visita, il movimento ha scelto quello di Borgone, ricostruito dopo l’incendio che nel gennaio 2010, ai tempi delle prime trivelle, aveva completamente distrutto il primo avamposto di resistenza No Tav realizzato ai tempi del 2005. Il prato, la casetta in legno, un apericena a base di salame e formaggio, tranci di pizza, torte salate fatte in casa e un buon bicchiere di vino. Gli ingredienti per assaggiare il fenomeno No Tav ci sono tutti. Erri De Luca viene accolto con un’ovazione da almeno un centinaio di attivisti, ma nemmeno il tempo di dargli il benvenuto che lo scrittore napoletano viene “assalito” da un nugolo di giornalisti per le prime parole a caldo. Naturale, dopo le recenti polemiche sui sabotaggi che tra l’altro gli sono valsi una querela da parte di Ltf.
Ma De Luca, stavolta, ha accuratamente evitato di parlare di sabotaggi. In questa fase, con i ripetuti attacchi incendiari subiti da alcune ditte impegnate nel cantiere Tav di Chiomonte, soffiare sul fuoco sarebbe stato poco opportuno sia per lui che per il movimento No Tav. Anzi, ospite a Torino prima di venire in valle, l’intellettuale ha anche aggiustato il tiro dicendo che in quella famosa intervista faceva riferimento a sabotaggi di tipo politico, e probabilmente non a caso ha calcato molto la mano sull’idea di Hollande come possibile “sabotatore” della Torino-Lione. In ogni caso, dopo le polemiche delle scorse settimane, era stato lo stesso movimento a chiedergli di tenere un basso profilo e così è stato. A Susa, per lui, si sono presentate centinaia e centinaia di persone, stipate come sardine nel salone Monsignor Rosaz, chi seduto, chi in piedi, chi per terra a gambe incrociate. La sua passione per le sacre scritture è stata lo spunto non solo per conoscere un lato della sua formazione, ma anche per offrire una chiave di lettura più ragionata a chi tutti i giorni mangia pane e No Tav.
Alternando momenti di riflessione filosofica ad altri più leggeri per vivacizzare l’atmosfera, Erri De Luca ha spiegato di essere un non credente, ma di non escludere che la divinità possa esistere nella vita delle altre persone e di non considerarsi, per questo motivo, un ateo. Ha raccontato di aver iniziato a studiare le sacre scritture, in particolare la Creazione nella Genesi, «perché attratto da questa storia, di una divinità che un bel giorno decide di rivelarsi. “Dire” è il verbo più utilizzato nelle sacre scritture: assistiamo alla parola che fa avvenire le cose esattamente in quel modo, quella parola diventa così portatrice di responsabilità. Fa un certo effetto quando pensi alla società di oggi, in cui la parola viene usata un giorno per affermare una cosa e il giorno per smentirla dicendo “mi avete frainteso”. Oggi coloro che trattano la parola senza responsabilità hanno un presente, sì, quello nessuno glielo può negare, ma non avranno mai un futuro». Quindi, la battuta: «E io che frequento le scritture sacre lo so, a forza di farlo sono pure diventato un profeta: il Tav non si farà mai».
E non solo perché ci sono i No Tav di mezzo, pronti a resistere. «Mi hanno detto che in Francia ci sta un sabotatore», ha aggiunto con chiaro inflesso napoletano, alludendo al recente rinvio a oltre il 2030 della tratta nazionale francese della Torino-Lione e accreditando così la versione, apparsa anche su molti giornali d’Oltralpe e smorzata dal fronte Sì Tav nostrano, secondo cui la Francia starebbe tirando il freno rispetto a un’opera che solo fino a pochi mesi fa sembrava un “mantra” anche per le autorità transalpine. «Quel sabotatore è il presidente francese che è venuto da me e zitto zitto mi ha sussurrato: “Guarda che noi i cantieri non li apriamo prima del 2030”. Ma l’ha detto solo a me, il governo italiano non ne sa niente. D’altronde la stampa da noi è così: un reparto arruolato al seguito delle truppe, e voi lo sapete bene».
Tanti i parallelismi tra la valle No Tav e la strage del Vajont evocati da De Luca fin dalla sua introduzione: «Al Vajont mi lega la profonda amicizia con Mauro Corona. Là dicono che se avessero avuto anche solo un po’ della forza di volontà e della consapevolezza che avete voi qui, quella diga non l’avrebbero costruita e un’intera vallata non sarebbe stata distrutta. Io continuo a pensare che questo buco, qui, non si farà e non solo perché c’è il sabotatore, ma perché ci siete voi, che siete insieme a Lampedusa un avamposto del futuro: cosa ne sarà del rapporto uomo-terra si decide qua».
E ancora, tornando alle sacre scritture: «La specie umana è come un’intercapedine tra la terra e il cielo. Quando la divinità ha istituito il sabato, lo ha pensato come giorno in cui la terra dev’essere lasciata a riposo: non è un momento di ricreazione per l’uomo, è che “ti devi stare fermo” e permettere alla terra di respirare. È questa trasgressione del senso più profondo del sabato che oggi porta il pianeta alla distruzione: il problema maggiore è che oggi la terra è asservita alla produzione, al fabbisogno, al concetto di accumulo. Da qui partono tutti gli abusi, fino al considerare una valle intera alla stregua di un cantiere da utilizzare a proprio piacimento».
Ma allora, ha chiesto Alberto Perino, leader storico del movimento No Tav, «qual è, secondo te, il limite nella difesa della propria terra?». Domanda delicata, che indirettamente tirava in ballo anche il grande tema dei sabotaggi. «Il limite nella difesa da un invasore si identifica con la necessità della sua espulsione. Per me il 1989 non è stato l’anno della caduta del muro di Berlino, ma l’anno in cui gli afgani si sono liberati dell’occupazione sovietica. La misura del limite ha a che vedere con la posta in gioco, che per voi è la vita: qui si tratta di impedire lo stupro di una vallata anche per le generazioni future, la vostra è una purissima battaglia di civiltà. Siete come un fascio di fili di rame che porta corrente elettrica in giro e la fa arrivare a tutti, anche a me. Siete un popolo che ha avuto la straordinaria capacità di ricompattare le sue fibre sparpagliate, disperse e sgangherate. Finché voi sarete così, nessuno vi potrà accostare a misteriosi sabotaggi, a spedizioni notturne e a pacchi a sorpresa. Voi siete la più potente lotta di popolo del dopoguerra e state dando a tutti una lezione di civiltà. Voi sarete studiati a scuola. Dopo che avrete vinto».
Marco Giavelli