Le macerie, come le reti di Chiomonte. Lo stato assente, i cittadini solidali e attivi: presenti.La visione di quelle macerie, a Cavezzo come a Mirandola e Carpi, lascia un senso di vuoto, di impotenza, di smarrimento. Quei capannoni crollati, quelle cascine semi distrutte, quelle case nel centro delle città… un centro vuoto, desolato, chiuso e con militari ad assicurare che nessuno varchi quei limiti. Zone rosse, zone vietate, come a L’Aquila, come in Valsusa. Non c’è traccia, a distanza di quasi due mesi dal terremoto, di interventi per la ricostruzione, come a L’Aquila, da quel lontano 6 aprile. C’è silenzio, un silenzio assordante, fino a quando non si arriva nei campi organizzati spontaneamente, da terremotati che hanno trovato subito la solidarietà di individui e gruppi che si sono mobilitati e che continuano ininterrottamente a portare aiuti, concreti e sul piano organizzativo, a riprova che proprio là dove lo stato fa pesare la sua assenza la solidarietà arriva spontaneamente e si diffonde, come un virus, un virus sano, che ti aiuta ad immaginare quella società diversa tutta da ricostruire.
Il 15 luglio a Mirandola un secondo incontro dei referenti dei vari campi organizzati, per confrontarsi e per delineare insieme nuove strategie. Dalle parole di Aurelio, uno dei terremotati attivo nei campi auto-organizzati, il quadro della situazione attuale.