Il cortile del mio luogo di evasione è un breve spazio incassato tra antiche mura, ma un vecchio pergolato lo inonda, come un mare verde, carico di grappoli che rimarranno come cibo invernale agli uccelli.
Questa nostra lotta è anche una storia di vigne. Quelle della Ramat che già subirono l’affronto dell’autostrada e che ora sono diventate territorio occupato, sottoposto alle leggi di guerra del cantiere TAV. Le vigne del versante di Giaglione, arroccate sui pendii della Clarea, ormai , per buona parte, in stato d’abbandono: in questi anni di camminate quasi quotidiane verso il cantiere le abbiamo viste inselvatichirsi a poco a poco; alcune sono state espiantate e di loro restano spazi vuoti, espropriati di lavoro e di storia.
E sono ancora paesaggi di vigna ad accompagnare le nostre rapide fughe lungo la penisola verso luoghi di assemblee ed incontri ribelli. Dai finestrini dei treni o dalle auto in corsa intravvedi i lunghi filari che coprono le colline o ne scorgi brevi festoni che occhieggiano tra orti ed uliveti e pensi al mito antico di dei scesi in terra a libare, immagini le opere pazienti di potature e cantine,la socialità di incontri e mense imbandite.
Poi torni al presente di nuovi sfruttamenti e schiavitù e pensi che la liberazione dell’essere umano e della natura non deve rimanere semplicemente una bella favola, ma divenire una meta realizzabile, perché tanto impegno e tanta bellezza abbiano senso e mettano radici.
Mentre scrivo, sale il buio a bussare alla mia porta, il pergolato scompare nell’ombra; qualche fruscio di passero ritardatario; rare stelle in un cielo che sa già d’inverno.
Tra poco scenderò a condividere la cena insieme a quanti veglieranno su di me questa notte.
Nicoletta