Riportiamo qui i commenti all’intervista del ministro delle infrastrutture Passera su La stampa del 6 marzo, di Mario Cavargna, presidente di pro natura piemonte e di Angelo Tartaglia, professore al Politecnico di Torino, già reppresentante della Comunità Montana all’osservatorio tecnico per la torino lione
Sul TAV Torino-Lione è disinformato
Di Mario Cavargna http://torino.pro-natura.it/
L’intervista del ministro Passera in favore della Torino-Lione Alta Velocità occupa le prime tre pagine de “La Stampa” del 6 marzo. Non si ricorda un rilievo analogo, per qualsiasi altra intervista del passato e questo rende bene l’idea dello sforzo che viene fatto per coprire i reali dati di fatto con slogan propagandistici.
Proviamo a fare un rapido commento, ma prima aggiungiamo un’osservazione a parte: la costruzione della Torino-Lione non è una progettazione tutta decisa, come sembra nell’udire le parole del responsabile delle Infrastrutture: l’ultimo accordo italo francese, siglato a Roma il 30 gennaio 2012, che riassume tutti i precedenti, nel preambolo dice testualmente: “il presente accordo non ha come oggetto di permettere i lavori definitivi della parte comune italo-francese”.
Questo significa che, al di là della retorica, in 20 anni i governi italiano e francese non hanno ancora deciso se farla. E se il governo francese, per il momento, si accoda ancora al nostro è solo perchè quello italiano si è impegnato a pagare il 60% del tunnel di base, nonostante solo 13 km su 57 siano in territorio italiano.
Una grande opera in tempi di crisi non è un vantaggio, ma è sempre un danno, quando lo Stato è nelle condizioni di dover ridurre drasticamente il suo indebitamento. La drammatica crisi della Grecia, a seguito delle Olimpiadi, è un esempio significativo di cosa significa “gettare via i soldi”, quando le casse dello Stato sono vuote.
Non è vero che il progetto del 2005 (in realtà, del 2003), in sinistra Dora, aveva delle pesanti conseguenze ambientali ed un insufficiente dialogo con la popolazione, ma che tutto questo è stato superato con il progetto del 2010 in destra Dora. Dal punto di vista dell’impatto ambientale e sanitario, i due progetti sono ugualmente devastanti, anche perchè gli elementi centrali di questi impatti, cioè le polveri, viaggiano nell’aria e non cambiano spostandosi da un versante all’altro.
Per il progetto in sinistra Dora si era riusciti, alla fine, a far riconoscere il problema della presenza dell’amianto. Per il versante destro semplicemente mancano le analisi, anche se la presenza è localmente sicura nella lunga galleria dell’Orsiera ed è chiaramente rilevata nell’unico esame condotto per la galleria nella collina morenica. La quantità potrebbe essere minore ma, in compenso, in quest’ultimo progetto è aumentata la popolazione direttamente coinvolta. Nel complesso siamo nella stessa situazione in cui ci trovavamo nel 2003-2005. Ma rispetto ad allora non solo il dibattito ed il confronto con la popolazione non sono aumentati, ma sono addirittura diminuiti!
I tantissimi incontri tecnici che si erano svolti presso la Regione Piemonte tra il 2002 ed il 2005, avevano certamente avuto l’handicap della negligenza dei nostri interlocutori che sino all’ultimo avevano negato la presenza dell’amianto e degli elementi di assurdità del progetto, ma almeno erano esistiti. L’Osservatorio, al contrario, è stato un “club” blindato auto referenziale da cui gli amministratori e gli abitanti sono stati radicalmente esclusi, anche se ha conclamato una partecipazione mai esistita. Il progetto che ne è nato è così assurdo e devastante che dopo 6 anni l’opposizione, nonostante il governo abbia fatto tutto il possibile per confonderla e tacitarla, è riemersa più forte e più determinata di prima!
Il ministro Passera mette la linea del Frejus esistente tra le infrastrutture obsolete e la descrive come quella nata nel 1871. Evidentemente è rimasto centoquaranta anni in ritardo sugli aggiornamenti, altrimenti saprebbe che si tratta di una linea modernissima: il binario di salita è stato terminato solo nel 1984, e nel 2011 la galleria è stata portata tutta alla sagoma P/C 45, che è la sagoma massima di tutta la rete ferroviaria francese e di quella italiana (ad eccezione dell’asse del Brennero). Questa linea modernissima che potrebbe tranquillamente trasportare 20 milioni di tonnellate al valico, oggi, nonostante tutti i miglioramenti, porta solo 4 milioni di tonnellate. Il motivo è il decennale crollo del traffico transalpino tra Italia e Francia dopo che la Svizzera ha riaperto le sue frontiere ai transiti dei TIR. Di conseguenza è crollato anche il trasporto merci dei tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco che sono calati del 30% in dieci anni e tendono a scendere ancora. Di conseguenza dovrebbe spiegare il vantaggio di spendere 18 miliardi di euro (di solo preventivo) “per raddoppiare la capacità del traforo ferroviario del Frejus” (sic) quando da dieci anni essa è meno di un quarto di quanto dovrebbe transitare e non mostra alcun segno di ripresa!
L’Osservatorio non ha mai valutato la caduta dei traffici che interessano l’arco alpino italo francese, (facilmente consultabile sul sito internazionale ALPINFO) altrimenti avrebbe dovuto ammettere che l’opera è inutile (e quindi dannosa in quanto disperde risorse da impiegare altrimenti).
Non è vero neppure che ci sia un risparmio di energia e di costi di trasporto: dal punto di vista energetico quest’opera è uno spreco infinito sia per la costruzione (per la parte italiana: 17 milioni di metri cubi di roccia da estrarre, 6 milioni di metri cubi di cemento, un milione e mezzo di tonnellate di acciaio). Il costo del pedaggio da chiedere agli utenti penalizzerebbe proprio quel commercio che si dice di voler incentivare.
Va anche sfatata la favola che l’opera sia promossa dall’Unione Europea. Come NO TAV abbiamo avuto in questi anni la possibilità di numerosi contatti sia a Strasburgo che a Bruxelles, compreso un lungo incontro privato con il vicepresidente dell’Unione Europea Barrot, nella sua veste di commissario europeo alle infrastrutture. Nella sostanza ci è stato spiegato che l’Unione Europea non decide, ma “amministra” le richieste degli Stati. Per loro è sufficiente la lettera con cui i governi italiano e francese informano di aver scelto di presentare quest’opera. I giudizi di merito sull’opera spettano agli Stati, l’UE verificherà solo il buon esito del contributo finanziario.
La conclusione la lasciamo ad un articolo comparso su “Sole 24 Ore” il 31 gennaio 2012, che illustra uno studio costi-benefici compiuto al Politecnico di Milano “se il nostro vicino fosse stata la Gran Bretagna e non la Francia questo tunnel non verrebbe mai fatto”.
Oltre che inutile dal punto di vista macroeconomico, l’opera rappresenterebbe un grave danno anche per il territorio che la dovrebbe ospitare, a motivo degli impatti socioeconomici che comporta un cantiere la cui lunghezza è inversamente proporzionale alla possibilità di trovare i soldi per terminarlo. A questo si aggiungerebbero i pesanti rischi sanitari (non solo amianto ma tutto lo spettro degli inquinanti, con PM 10 in testa), ammessi dagli stessi proponenti, di cui il ministro sembra non essere informato. Ed il fatto che la popolazione interessata debba consolarsi credendo all’esistenza di turisti che prendono il TGV da Londra e Parigi per scendere a Susa, è un’ipotesi che offende la sua intelligenza.
Sono molto da ridimensionare anche i risparmi di tempo: il miglioramento è solo di circa un’ora perchè dopo aver risparmiato 20 km, la linea compie un giro di 10 km per andare ad Orbassano dove la sua velocità scende a 120 km orari! Quest’ora di risparmio non vale certo 20 miliardi di euro per un traffico passeggeri anch’esso in continuo calo di fronte alla concorrenza dei voli low cost.
Un’ultima parola sull’opposizione della popolazione. Se una popolazione civile, con un altissimo numero di tecnici e di laureati, continua a resistere ed a sacrificarsi vuol dire che ci crede e poiché è quella che più di ogni altra conosce i trasporti ed il territorio dell’area in questione, vuol dire anche che sa molto bene di cosa si parla.
Sarebbe ora che il Governo si buttasse alle spalle il teatro dell’Osservatorio e tornasse a confrontarsi come si era cominciato a fare nel 2003-2005. Forse capirebbe di nuovo che è necessario cambiare, ma questa volta per davvero!
Commenti all’intervista del ministro Corrado Passera alla Stampa
Angelo Tartaglia
La Stampa ha pubblicato in data 6 marzo una intervista di due pagine al ministro Passera sul TAV Torino-Lione, il cui succo sta nel titolo “La Tav è utile e strategica per il futuro dell’Italia”.
In questo “dialogo”, sempre privo di interlocutori, vorrei fare una serie di osservazioni nel merito alle affermazioni attribuite al ministro. Naturalmente, sempre in nome di un “dialogo” che è esclusivamente un monologo, non posso che affidare le mie osservazioni a quei canali che sono disponibili per diffonderle e di cui in genere non fanno parte i grandi mezzi di comunicazione.
Seguirò il filo delle domande rivolte al ministro dall’intervistatore (Luigi La Spina) e per forza di cose sarò molto conciso e mi atterrò agli aspetti tecnici.
1. Nella prima domanda l’intervistatore afferma che “la realizzazione di una grande opera… è in tutto il mondo vista con favore”, non specifica però quale sia il “tutto il mondo” cui si riferisce né su quali elementi si basi la sua affermazione alla quale non si può che attribuire un carattere ideologico.
Nella risposta il ministro afferma che il governo ha effettuato “un riesame completo del progetto”. Da questo esame “molto approfondito” è emerso che l’opera “è necessaria, utile e strategica” .
Il ministro in tutta l’intervista non riporta un solo elemento fattuale che possa comprovare le sue affermazioni, ma torna a citare, nella risposta alla terza domanda, una “analisi molto approfondita dei costi e dei benefici che l’Osservatorio ha promosso”. Si può comprendere che una intervista poco si presti a snocciolare dati e cifre, ma rimane il fatto che a tutt’oggi l’approfondita analisi costi/benefici continua a non essere pubblica. C’è da chiedersi se non sia coperta da segreto di stato in analogia con i terreni recintati e presidiati in Valle di Susa che sono stati proclamati di interesse strategico nazionale come le basi militari.
Più oltre il ministro afferma che l’attuale progetto è molto migliore di quello del 2005, ma per quanto riguarda il tunnel di base, l’opera centrale e di massimo costo, il progetto è pressoché identico a quello del 2005. La novità è la stazione di Susa, ma per tutto il resto della linea vi è ben poco per giudicare se sia meglio o peggio di quella del 2005.
Il ministro poi afferma che col 2006 “c’è stato un fondamentale cambio di rotta grazie al lavoro svolto dall’Osservatorio”. Non menziona il fatto (forse non lo conosce) che dall’inizio del 2010 dall’Osservatorio sono stati esclusi i tecnici che rappresentavano i comuni che non dichiaravano a priori di accettare la nuova linea. Che un buon modo per evitare le obiezioni sia quello di allontanare coloro che le fanno è, se posso dirlo, discutibile, ammesso che ci sia un luogo dove discuterne.
2. Nella seconda domanda l’intervistatore osserva che “alcuni oppositori, tra cui anche tecnici ed esperti universitari, ritengono l’opera … inutile…”. Non riporta nessuno dei motivi per cui i suddetti “tecnici ed esperti universitari” sono contrari, in questo seguendo la linea del suo giornale che non ha mai pubblicato le motivazioni critiche di merito nei confronti dell’opera.
Il ministro risponde con una serie di affermazioni non nuove, nessuna delle quali è circostanziata. Dice che l’opera “inserisce il nostro Paese nella rete europea dei trasporti”, ma l’Italia è già inserita in tale rete attraverso le infrastrutture esistenti tanto è vero che il traffico merci ha continuato a crescere (crisi a parte) lungo gli assi Nord-Sud, mentre calava sull’asse Est-Ovest. Afferma che “alcune regioni fondamentali… soffrono di gravi svantaggi competitivi a causa di infrastrutture obsolete”, ma non mi è mai capitato di vedere uno studio che mostrasse (non dico dimostrasse) che i concretissimi problemi dell’industria italiana dipendessero da infrastrutture ferroviarie inadeguate piuttosto che dal costo del lavoro, dalla farragine burocratica e dall’obsolescenza, questa sì, dei processi produttivi e delle tecnologie.
Continuando il ministro afferma che la galleria esistente “già 100 anni fa era considerata inadeguata” trascurando il fatto che la linea è stata ammodernata e potenziata a partire dagli anni 70 (del 900 non dell’800) e che si stanno ultimando i lavori di potenziamento del tunnel attuale per consentire il passaggio di carri con contenitori navali.
Più oltre dice che si abbattono i costi, ma una analisi di detti costi non è reperibile in alcun luogo. Se ci si riferisce ai costi sopportati dagli spedizionieri occorre considerare, cosa di solito completamente ignorata, che sia in Francia che (fino ad oggi) in Italia le merci non viaggiano sui binari dell’alta velocità ma sulle linee ordinarie. Per questa ragione le motrici dei treni merci non richiedono una alimentazione a 25.000 Volt, tipica delle reti ad alta velocità. Il tunnel di base che si vorrebbe realizzare sotto le Alpi sarebbe peraltro a standard da alta velocità quindi con alimentazione a 25.000 Volt. Di conseguenza per attraversarlo i treni merci dovrebbero dotarsi di motrici politensione che includano i 25.000 Volt, oltre che di carri adatti ai binari dell’alta velocità; motrici e carri inutili per il resto del viaggio. Per altro le motrici, come i carri, dovrebbero essere a carico dello spedizioniere. Non credo che queste voci siano state calcolate fra i costi per l’utilizzo della linea e credo molto improbabile che gli spedizionieri siano disponibili ad accollarsi questo prezzo per una tratta di 57 km su complessivamente un migliaio di chilometri di viaggio.
Il ministro afferma ancora che con la nuova linea si raddoppia la capacità. In realtà il progetto che il governo ritiene di realizzare prevede la sola costruzione del tunnel di base e di continuare per il resto a usufruire della linea esistente. In questo caso è chiaro che la capacità della linea rimane esattamente quella di oggi, perché, come chiunque può facilmente comprendere, la portata di un condotto è determinata dalla sua sezione più stretta non dalla più ampia. Per avere il raddoppio della capacità occorre costruire tutta la linea, ma questo completamento, è dato di capire, è differito di almeno 30 anni e probabilmente di più: nel frattempo il tunnel resterebbe sotto-utilizzato. Se fosse vero che la solidità economica del nord-ovest dipende dalla capacità della linea, allora resteremmo in condizioni di marginalità ancora per alcuni decenni e per di più dopo aver investito ingenti risorse in un’opera che non potrebbe essere utilizzata pienamente, continuando ad ospitare, con costi di gestione ben più elevati, un traffico al più pari a quello che potrebbe transitare oggi sulla linea storica.
Questa realizzazione parziale (prima fase, la chiama il ministro) è rilevante anche per quanto riguarda i costi dell’opera. Il ministro, nella risposta alla settima domanda, ricorda che si tratta, a carico dell’Italia, di 2,7 miliardi, cifra determinata a valle di un contributo europeo “fino al 40%”. In realtà del contributo europeo è fissato il tetto, non ancora l’entità, che dipende da parecchie cose e dal numero totale di progetti da finanziarsi in Europa. In ogni caso la cifra citata dal ministro si riferisce al solo tunnel di base e alla stazione di Susa, ma, come abbiamo visto, in questo modo l’opera è monca e potrebbe produrre gli effetti indicati come sua motivazione solo una volta completata. Insomma l’impegno economico a carico dell’Italia è quello relativo a tutta la linea nuova fino al raccordo a Settimo con la Torino-Milano. La spesa viene differita, non ridotta. D’altra parte è chiaro che, comunque vadano le cose, l’avere alle spalle un tunnel costoso e sottoutilizzato verrebbe addotto come forte motivazione per il completamento dell’opera, quale che ne sia il prezzo.
4. Nella quarta risposta il ministro afferma che “la valle sarà alleviata da un eccesso di trasporto su gomma”. Sarebbe interessante poter avere visione degli studi ed analisi di mercato che gli consentono una tale affermazione perché stando ai modelli previsionali elaborati dalla stessa LTF e facenti parte dei quaderni dell’osservatorio (prima della sua fase “riservata”) risulterebbe che se il flusso complessivo di merci salisse quanto richiesto per dar senso alla nuova linea crescerebbe anche il traffico su strada, solo che crescerebbe un po’ meno di quello in ferrovia. Peraltro studi SITAF pubblicati nel 2009 dicono che poco più del 50% del traffico di automezzi pesanti lungo la valle è a raggio medio-breve, cioè tale da non essere interessato alla ferrovia.
Il ministro ricorda anche che “il collegamento con tutta l’area di Torino sarà facilitato da collegamenti metropolitani…”, risultato che si potrebbe raggiungere anche oggi, senza attendere decenni, se qualcuno investisse nella risistemazione della rete metropolitana e, in particolare, mettesse a disposizione le risorse per acquisire e mantenere in efficienza i treni necessari.
Si afferma poi l’importanza turistica della stazione internazionale di Susa. Sarebbe utilissimo poter vedere quali analisi di mercato sostanziano questa importanza. Una stazione internazionale significa consentire a passeggeri “internazionali” di salire e scendere a Susa. Resta da capire per quale motivo lo dovrebbero fare in misura significativa. Susa è una gradevole cittadina con testimonianze di un importante passato, ma sembra molto improbabile che possa di per sé dar luogo ad una capacità di attrazione rilevante. Si potrebbe pensare naturalmente al turismo invernale (e qualcuno in passato lo ha fatto), ma quel turismo ragionevolmente sarebbe interessato ad arrivare in treno a Bardonecchia o a Oulx piuttosto che a Susa dove poi dovrebbe salire su un autobus (o magari su un treno della linea storica) per raggiungere le località sciistiche.
Per completare la risposta il ministro ricorda che “per i soli cantieri” ci sarebbero “almeno duemila posti di lavoro sul territorio per molti anni”. In realtà la cifra appare sovrastimata se riferita al solo cantiere, ma ci vorrebbe qualche documento per indicare come è stata effettuata la valutazione. Il personale impegnato nello scavo di un tunnel come quello di base è in massima parte specializzato e non viene reperito “sul territorio” ma segue l’impresa per cui lavora. Per finire, l’occupazione a termine di cui si parla corrisponderebbe ad un investimento di più di un milione di euro a posto di lavoro. Gli analisti economici credo possano indicare diversi settori produttivi in cui con un milione di investimento si crea decisamente più di un posto di lavoro.
5. Nella quinta risposta il ministro afferma che “la maggioranza dei Comuni che si oppongono… non saranno minimamente toccati dai lavori”. Il ministro fa riferimento al solo tunnel di base, non considerando la sistemazione dello smarino, mentre, come abbiamo visto, l’opera potrebbe avere un senso solo se completa e pertanto alla “prima fase” seguirebbe ineludibilmente il resto. A questo punto la geografia insegna che i comuni che si oppongono sono in massima parte direttamente toccati dalla nuova linea, mentre è certo che la maggioranza dei piccoli comuni che sono oggi in osservatorio (e hanno preliminarmente “accettato l’opera”) non sono territorialmente interessati alla nuova linea né in versione ridotta né in versione completa: il loro problema è non essere esclusi dalle eventuali “compensazioni”.
6. Nella sesta risposta si parla del perché l’attuale linea è sottoutilizzata e il ministro afferma che ciò è dovuto al fatto che l’attuale ferrovia “è tortuosa, costosa e non competitiva”. In realtà tutto il traffico tra Italia e Francia, sia su strada che su rotaia, è in stagnazione-calo dal 2001, mentre nello stesso periodo il traffico attraverso la Svizzera e attraverso l’Austria ha continuato a crescere. La crescita era ben presente anche prima dell’entrata in funzione del tunnel svizzero del Lötschberg (a una sola canna) e sussiste anche in assenza dei nuovi tunnel del Gottardo e del Brennero e di qualsiasi potenziamento della linea verso l’Italia a valle del Lötschberg. La crescita lungo gli assi Nord-Sud ha ragioni strutturali legate all’attestamento nei porti del Mediterraneo e alla dislocazione dei mercati; le stesse cause strutturali che mettono in secondo piano l’asse Est-Ovest.
Credo che non ci si possa più permettere a nessun livello di trattare alla leggera le motivazioni di questa opera.