Danilo, avvocato. Paolo, dirigente pubblica amministrazione. Andrea, formatore aziendale. Pierluigi, sacerdote. Chiara, psicoterapeuta. Patrizia, impiegata. Daniela, insegnante. Enrico, pensionato. Roberta, farmacista. Sono amici della Valle di Susa, rigorosamente no-tav. Di giorno stimati professionisti, nel tempo libero appassionati animatori di gruppi giovanili, un passato nelle associazioni culturali, pacifisti convinti. Di notte, ovviamente, black blok. Indossano la calzamaglia, la maschera antigas e scendono in cantina a prelevare i sampietrini e gli estintori. Jekyll e Hyde in formato valsusino. E qualche Tg ci crede.
Da sempre la Valle di Susa è terrà di pluralità e di confronti: dagli elefanti di Annibale, alle invasioni dei Franchi, alle lotte partigiane. Un giorno questa Valle verrà ricordata anche per una delle situazioni conflittuali più mal gestite: la TAV. Quando alla saggezza negoziale si sostituisce la violenza, quando si scambia per fermezza una strategia dell’ottusità, quando a un ascolto consapevole della gente si preferisce opporre la forza, ecco cosa si ottiene. La disinformazione sulla questione, è bipartisan: i soliti montanari che non vogliono la ferrovia, il contributo europeo che viene perduto, la necessità di garantire un corridoio veloce con l’Europa. Queste e altre menzogne o mezze verità hanno portato a dare la patente di trogloditi e violenti ai “montanari” valsusini. Pochi sanno però che il favoleggiato contributo europeo di 672 milioni di euro è limitato alla tratta italo-francese della linea (in pratica alla sola galleria di 35,4 chilometri), che costerà 13.950 miliardi di euro (valuta 2006), essendo a carico dell’Italia, solo per tale tratta, 8,4 miliardi di euro. Il nostro Paese dovrà poi reperire ulteriori 10 miliardi di euro (sempre in costi 2006) per la rimanente tratta, senza contare le rilevanti spese annuali per manutenzione e sicurezza. Previsto un aumento in itinere del 30%. Si dirà: il gioco vale la candela. Alcuni dati: il traffico viaggiatori tra Milano e Parigi via Torino è scarso: i due TGV che qualche anno fa, sulla vecchia linea, coprivano tale tratta, si sono ridotti ad uno, causa mancanza di viaggiatori che sembrano privilegiare il Gottardo. Sarebbe dunque quasi esclusivamente una linea per merci (l’esatta indicazione,infatti, è TAC: treno alta capacità). Tuttavia il traffico merci nei vicini tunnel autostradali del Frejus e del Bianco, dal 2000 al 2010, è crollato del 31% e di ben il 50% quello ferroviario. E’ noto, inoltre, che le merci hanno bisogno soprattutto di sicurezza di trasporto più che di velocità. L’attuale linea, sostengono i no-tav, è tecnologicamente avanzata, come pure il traforo del Frejus (recentemente ammodernato) ma viene utilizzata per non più di un quarto delle sue possibilità. Tutto ciò, al di là della pericolosità dell’opera (amianto e uranio presente in quei monti) e all’impatto ambientale.
Le tesi dei valligiani non sono state elaborate sugli alpeggi o dentro le “baite”, ma commissionate a professionisti italiani e stranieri di fama. Una lettera in proposito, firmata da 135 ingegneri e docenti universitari, spedita anche al presidente Napolitano, non ha mai avuto risposta se non la solita cantilena: ” …progresso…stare in Europa…opera strategica… “. Un giornalismo idiota divulga solo paure e numero di poliziotti impegnati. Non una parola sulle tesi dei valligiani: insomma, la tav si deve fare, poi si vedrà. E’ allora più che legittimo, anche per chi non ami la dietrologia, chiedersi se non si celino, dietro questo progetto, interessi economici trasversali agli schieramenti politici. Per dissipare tutto ciò basterebbe dialogare e contestare dati. Invece si militarizza un cantiere fantasma, ma risposte certe nessuna, perché nessuno le possiede. La violenza ha davvero molte facce e i “black block” indossano, a volte, anche giacca e cravatta.
C’è però qualche speranza. Difficile pensare che oggi si possano dirottare 20-25 miliardi di euro dal magro bilancio nazionale. Quel treno rimarrà al palo, come il tanto sventolato ponte sullo stretto. Il movimento no-tav avrà così sbarrato al nostro Paese l’accesso a un’ ennesima avventura incontrollata. Qualche soldino, se pur resterà, potrà essere speso per ammodernare ulteriormente le strutture esistenti e creare posti di lavoro. L’importante è che si voglia ammettere la realtà e che si smetta velocemente di mantenere un cantiere desertico sorvegliato da centinaia di poliziotti (costo: 90 mila euro al giorno) e spese immani, “ufficialmente” per progetti e sondaggi.
Con Danilo, Andrea, Paolo, Chiara e gli altri, pur da lontano, sono anch’io fermamente no-tav. Perché amo l’Italia.
Roberto Grandis