Quando si lotta per il futuro collettivo si mette in conto la possibilità di dover rinunciare al proprio destino individuale. È ciò che accade quando la scelta di portare avanti un orizzonte di liberazione per tutti e tutte viene anteposto a velleità o interessi dei singoli. E accade anche che, in un mondo in cui comanda la legge della prevaricazione, degli interessi del più forte, c’è chi viene punito per la generosità nella lotta. Contrapporsi a chi sguazza in questo mare per il proprio tornaconto approfittandosi delle ingiustizie per vedersi un futuro garantito, ha il prezzo di essere dalla parte giusta della storia.
Nei nostri territori, dalle strade della nostra città, ai quartieri popolari sino ai sentieri della Val Susa, le esperienze che testardamente e coerentemente fanno una scelta che non regala sconti a nessuno, sono ciò che ci permette di ambire a una prospettiva desiderabile. Negli ultimi anni in particolare, chi ne fa parte viene costantemente colpito da una stretta giudiziaria atta a criminalizzare e decredibilizzare i movimenti con l’obiettivo di smorzare la lotta.
In questi giorni due compagni del centro sociale Askatasuna hanno iniziato a scontare una pena definitiva. Umberto ha iniziato a scontare la condanna a 1 anno e 10 mesi e Mattia di 1 anno e 9 mesi, entrambi ai domiciliari con il divieto di ricevere visite al di fuori della cerchia familiare, con particolare attenzione che non vi siano pregiudicati. Entrambi scontano un cumulo di due sentenze: una risalente a un’iniziativa antifascista in università nel 2015 e una riguardante due iniziative in Val di Susa, per Umberto si tratta dell’8 dicembre del 2017 e per Mattia per la marcia No Tav organizzata all’interno del Festival Alta Felicità il 27 luglio del 2019. Ricordiamo che entrambi avevano già subito le misure cautelari in carcere per questi due eventi.
Un commento sulla giustizia a doppia velocità non può che essere d’obbligo: non è una novità che le aule dei Tribunali privilegino i soliti faccendieri, ministri e buffoni di corte a chi si mette di traverso a questo sistema. In un momento storico in cui la sinistra cosiddetta “progressista” emette i suoi ultimi rantoli a fronte della retorica dell’avanzata delle destre, scontare anni di pena per una iniziativa antifascista diventa un esempio cristallino di quale sia il genere di antifascismo di cui si fa paladina.
Davanti a un territorio che da Nord a Sud è puntellato da progetti devastanti per l’ambiente e la salute, condannare chi si oppone al tav, simbolo di un’opera imposta, dannosa e utile soltanto a chi per anni ci ha guadagnato, e continua a farlo impunemente, è paradossale.
Umberto e Mattia hanno scelto, in un’epoca di individualismo asfissiante, di camminare a fianco di chi lotta per il proprio futuro, per la propria terra e dignità. Adesso tocca a noi tutti camminare al loro fianco e sostenerli fino alla loro liberazione. Chi lotta non è mai solo.
(Sosteniamo Mattia e Umberto anche attraverso la cassa di Resistenza No Tav!)