Lettera della mamma di Stefano Milanesi, pubblicata su “Luna Nuova” del 19 marzo 2024
Sono rimasta molto colpita dall’enorme affetto che in questi giorni tutti mi hanno dimostrato e voglio ringraziare tutti. Il legame con Stefano era totale, in simbiosi, a lui avevo trasmesso tutto, purtroppo anche le mie allergie, i problemi di tiroide. Un legame che si era cementato in quei lunghi otto anni attraverso le carceri.
Mi ricordo la mattina che la signora del piano di sotto aveva suonato alla porta, era un lunedì, l’ho anche raccontato nel libro, mi aveva consigliato di non andare al mercato: Stefano era stato arrestato. Aveva 19 anni, era a Napoli, aveva conosciuto degli amici, era il dicembre del 1977.
Era accusato insieme ad un gruppo di aver lanciato molotov contro un commissariato di polizia, da quel momento ha iniziato a rivendicare l’appartenenza a Prima Linea ed è cominciato il giro in tutti i super carceri. E’ stato fra i primi ad essere arrestato e per un caso della vita, dopo 47 anni, è stata proprio una delle amiche conosciute a Napoli a suonare il campanello lunedì per dirmi che Stefano era morto.
Io non ero pronta. Ho aperto la porta ma non avevo neppure messo le calze, non capivo, non ero pronta l’avevo sentito la sera di domenica, come sempre. Veniva da me tutti i giorni, o andavo io da lui quando Ermelinda andava da sua madre. Stavamo insieme lassù alla Meisonetta, in pieno sole con i cani e i fiori. Lui cucinava bene, mi ricordo una pasta con le melanzane, ci metteva l’aglio, i pomodorini, la scamorza. Non voleva che lavassi i piatti, li faceva lui. Passava tutti i giorni a trovarmi, o andavo io.
A me piaceva scendere a piedi, camminavo e mi portavo dentro quei pezzi di discorsi nostri, quei momenti, me li tenevo stretti mi duravano per due, tre giorni. Ha detto bene Nicoletta, quando tagliava l’erba risparmiava i fiori. Mi chiamava Attila perché io raccoglievo i fiori, facevo un mazzetto per portarli a casa. Ultimamente era sempre più sensibile verso la natura, la montagna bruciata che stentava a riprendersi, l’acqua intubata. Diceva: è la natura che si ribella. Diceva: se continua così dovremmo andare via dall’Argiassera dove gli volevano bene, li devo ringraziare, come qui in condominio, lui si prestava sempre ad aiutare tutti.
Quando è tornato a casa dal carcere, aveva 27 anni, era il 1985. Alla fine gli avevano dato tre anni e mezzo, ne ha fatti il doppio. In paese nessuno lo aveva dimenticato, quante ragazze venivano a suonare alla porta. Mi hanno detto che al funerale son venuti dei ragazzi che avevano studiato con lui all’Avogadro e facevano parte del collettivo studenti. Poi tanta gente anche da Roma, Da Firenze. Il movimento No Tav era la sua seconda famiglia. Con Paola e Fabrizio siamo rimasti travolti dall’affetto di tutti e per noi Stefano sarà sempre con noi.
ROSA MILANESI
Bussoleno