Ed eccoci qua alla fine del primo atto dell’inchiesta della “cricca dei favori” di cui si ebbe notizia per la prima volta tre anni fa e che vede protagonista il noto pm con l’elmetto Padalino sulla cui coscienza, oltre che aver alimentato un sistema di favori e corruzione tra organi giudiziari e di polizia, ha anche la libertà di moltissimi No Tav. Dato che la notizia sui giornali viene data en passant, con l’intenzione di sminuire e rimuovere le conseguenze che l’esercizio del suo ruolo ha avuto sul movimento No Tav, occorre fare un po’ di memoria storica.
Tutto iniziò nel 2018 quando, grazie a una fuga di notizie, si venne a scoprire che il trasferimento repentino del pm Padalino alla procura di Alessandria, avvenne a seguito di un procedimento disciplinare da parte del Csm per violazioni di procedure. Qualche mese dopo si venne a conoscenza di quali violazioni si stesse parlando: Padalino, insieme a una cricca di magistrati, polizia giudiziaria, finanzieri e giudici avrebbe fatto in modo di ottenere le indagini che li vedevano coinvolti in reati di corruzione, prostituzione, in cambio di vantaggi personali come cene, week end di lusso, concerti gratis (in cui si vide coinvolto anche il presidente della Set Up Live, azienda di spettacolo torinese poi interdetta per mafia, di cui abbiamo aggiornato la vicenda qui), visite mediche e operazioni chirurgiche per la sua famiglia a titolo gratuito passando avanti a tutti.
A dare il via all’inchiesta, fu l’indagine riguardante il furto di un server della polizia giudiziaria per la quale Padalino fece carte false per vedersela assegnata. All’interno di questa indagine, però, non restò da solo: a fargli compagnia c’erano l’avvocato Bertolino (ormai deceduto lasciandosi alle spalle anni di infamie nei confronti del movimento No Tav) e il suo carabiniere di fiducia Renato Dematteis. Dopo vari tentativi di smentita, bisogna aspettare novembre dello stesso anno per vedere l’iscrizione del pm con l’elmetto al registro degli indagati con la conferma di uno schema ben preciso. Il perno era l’avvocato Bertolino, che avrebbe rivelato a persone coinvolte in alcuni procedimenti di essere sotto inchiesta permettendo quindi di agire in anticipo, il tutto sostenuto da Dematteis che consigliava a tutti di nominare l’avv. Bertolino e che faceva in modo che i casi venissero poi assegnati al pm Padalino. I due poi, preparavano insieme la difesa degli imputati. Tra questi ci furono Fabio Pettinicchio, finanziere di Novara, accusato di sfruttamento della prostituzione, poi Davide Barbato, un uomo della scorta di Padalino incaricato di tenere i contatti tra il pm e l’imprenditore Giulio Muttoni, che indirizzò i suoi favori anche a beneficio di affiliati alla ‘ndrangheta coinvolti nell’inchiesta San Michele, secondo la quale la ‘ndrina di San Mauro Marchesato aveva svolto importanti lavori del tunnel geognostico nel cantiere di Chiomonte.
La notifica di chiusura indagini avvenne il 13 novembre 2020, quando sempre più dettagli si aggiunsero all’inchiesta della cricca dei favori: cene di lusso in hotel sul Lago d’Orta pagate da Andrea Giacomini, dove ad occuparsi della sicurezza era proprio Fabio Pettinicchio che si continuò a sdebitare organizzando cene al ristorante stellato di Canavacciuolo.
La procura di Milano chiede infine, 3 anni di carcere per Padalino, accusato di abuso di ufficio e di ben tre episodi di corruzione, 4 anni a Pettinicchio e per Dematteis 3 anni e 6 mesi. Per ora il processo è rinviato al 18 novembre quando parlerà la difesa. La bassezza degli organi di stampa nazionali nel restituire la notizia quasi non ci stupisce nemmeno, su “La Stampa”, infatti, a corredare la questione si legge che “Padalino sarebbe finito – per l’accusa – dopo una lunga e rispettabile carriera in un vortice di favori e interessamenti illegittimi”, con “accuse che restano pesanti pur corredate dalla presunzione di innocenza”, quasi sostenendo un’incapacità del pm a porre fine a questo vortice in cui non avrebbe piena responsabilità.
Dal canto nostro, la sua “lunga e rispettabile carriera” la commentiamo, invece, così: una lunga e infame crociata, condotta insieme al pm Rinaudo, contro chiunque fosse No Tav, senza guardare in faccia nessuno, incarcerando manifestanti dai 18 ai 72 anni. A noi sembra che questa notizia vada a confermare che le loro accuse, i loro processi, le loro condanne siano evidentemente inconsistenti, risultato di parzialità totale e illegittime e che l’unica cosa giusta da fare sarebbe cancellarle.