Da Bologna a Piacenza lunghe file di camion incolonnati, si procede a tratti, mentre scorrono sotto i nostri occhi campi coltivati, capannoni e industrie dell’agroalimentare.
La grande fabbrica Emilia, diffusa in mille territori si muove frenetica. Arriviamo a Piacenza con un cielo plumbeo di pioggia. Quartiere , l’iniziativa si tiene in una Cooperativa fondata dai partigiani dopo la fine della guerra, sui muri i segni di generazioni in lotta, fino ad arrivare ai giorni nostri tra murales di Non Una Di Meno e bandiere della Palestina.
L’incontro prende le mosse da un argomento complesso, il rapporto tra il settore della logistica e l’ambiente. Ci si trova davanti a uno dei classici dilemmi di questi tempi, quello che vorrebbe contrapposti gli interessi del lavoro da quelli della salute della popolazione. Eppure durante questa pandemia abbiamo visto momenti in cui questi interessi hanno trovato momenti di convergenza, dove un’esperienza collettiva della violenza del nostro sistema di sviluppo in grado di accettare migliaia di morti pur di continuare a produrre profitto ha visto una risposta spontanea di molti e molte che hanno scelto che la vita e la salute valgono di più.
Da qui si parte, da questa consapevolezza che i cluster dell’epidemia sono molto spesso sovrapponibili alle mappe dell’inquinamento e dello sfruttamento.
A Piacenza il virus ha colpito duramente e una parte significativa dell’incontro grazie al contributo di due medici è ruotata all’analisi del rapporto tra malattia ed inquinamento.
Non solo logistica, cementifici, inceneritori ed altre fabbriche di devastazione costellano il territorio della città emiliana e disegnano un quadro dove la salute della popolazione è messa in serio pericolo.
Una serie di domande sorgono spontanee, come coniugare la necessità di un reddito con quella di non ammalarsi e morire in questo mondo governato dalla legge del profitto?
Come concepire un lavoro che non sia contro la natura, ma in simbiosi con essa?
Come conciliare la necessità di diminuire la quantità di merci spostate, di inquinamento immesso nell’aria, senza che questo si trasformi in una transizione ecologica “lacrime e sangue” come vorrebbe il ministro Cingolani? In poche parole come rompere questa falsa contrapposizione tra reddito e difesa della salute e dell’ambiente?
Si tratta di rallentare la catena della logistica, di capire cosa è necessario produrre e cosa no, come e dove produrlo, come e dove spostarlo non in base alla legge del profitto, ma in base a quella della vita.
Si tratta di lottare perché la volontà operaia di diminuire il carico di sfruttamento coincida con quella dei territori di diminuire inquinamento e devastazione.
Alcune idee ci sono, lottare per meno ore di lavoro a parità di salario per esempio, riprendere dei percorsi di lotta alle nocività e per la salute all’interno degli ambiti di produzione.
Ma molti sono ancora gli interrogativi che abbiamo in testa mentre partiamo da Piacenza alla volta di Empoli su cui dobbiamo necessariamente costruire un confronto.