È stato pubblicato dal quotidiano “Domani” un articolo che, cosa rara, parla dell’uso e abuso di gas lacrimogeno Cs da parte delle forze dell’ordine nel nostro paese.
Come ricorda il giornalista Luigi Mastrodonato, pur vietato dalla convenzione di Ginevra come arma chimica, il gas è impiegato massicciamente nelle operazioni di ordine pubblico con effetti anche molto gravi che vengono ignorati dalle autorità. Oltre al caso del G8 di Genova viene citato, tra gli altri, quello della val di Susa, dove la celere ha ampiamente fatto uso di questo strumento per reprimere le proteste.
Se ci pare più che meritorio il proposito dell’articolo – quello di gettare un po’ di luce sulla polizia e le sue armi cosiddette non letali – ci ha sorpreso vedere che nell’articolo non si fa altro che insistere sulla nocività del gas Cs sulle forze dell’ordine e sui manifestanti, in particolare proprio in Val di Susa, come se le cose fossero equivalenti.
Ci teniamo quindi a specificare due o tre cose, dal punto di vista chi vive questa piaga in prima persona da anni.
Primo, questa affermazione è fattualmente falsa. Gli agenti sono sempre equipaggiati con costose maschere antigas proprio per proteggersi dal Cs. Ai No Tav invece le maschere anti gas vengono regolarmente sequestrate prima dei cortei come oggetti atti ad offendere perché “fanno black-bloc”. Il fatto di impedire ai manifestanti di tutelarsi dagli effetti a breve e a lungo termine dei gas tossici è una strategia deliberata, portata avanti con costanza dal ministero dell’interno e dalla questura di Torino in questi anni.
Secondo, i poliziotti hanno scelto il loro mestiere, ivi compreso l’uso di armi. Noi non abbiamo scelto di avere un’opera devastante che mette in pericolo la salute dei nostri figli nella nostra valle. I lacrimogeni in Val Susa sono sparati contro cortei con famiglie con bambini e persino dentro le case come successo l’ultima volta durante lo sgombero del presidio No Tav di San Didero. È assurdo mettere sullo stesso piano uomini armati, addestrati ed equipaggiati con una popolazione civile che subisce un’occupazione militare da ormai 15 anni.
Arriviamo quindi al terzo punto. Nell’articolo ci si dimentica che i lacrimogeni c’è chi li spara e chi li prende, a volte persino in faccia come successo a Giovanna. Mettere sullo stesso piano oppressi e oppressori è un’operazione inaccettabile. E non è certo una pretesa neutralità giornalistica che può servire da paravento in questo senso.
E’ chiaro dunque che non si possa paragonare chi difende la propria terra dalla devastazione e chi, invece, col suo operato criminale, la occupa da anni mettendo in atto comportamenti scellerati spalleggiando e difendendo i promotori dell’opera nel loro progetto di distruzione della Valsusa.