Pasticciaccio ad alta velocità
Dal percorso ai rischi ambientali, il governo Berlusconi non ha mantenuto gli impegni sulla Tav in Piemonte. E sembra pensare soltanto alle gallerie. Per questo sindaci e comitati scendono di nuovo sul piede di guerra
Basta guardarsi attorno, per capire che aria tira. Basta alzare gli occhi a destra, appena infilata la Val di Susa, Piemonte vecchio stampo, quadrato, testardo e genuino, in cui primo secondo e caffè costano ancora 10 euro, e leggere la scritta che campeggia sul monte Musinè: “No Tav, no mafia”. Uno slogan ripetuto più volte, lungo i 90 chilometri che da Avigliana portano al confine francese. Ecco il comune di Sant’Ambrogio, poche case in fila sulla strada, con le bandiere No Tav che sventolano dai lampioni. Ecco Venaus, due passi più a nord, con la sua rabbia compressa in frasi come “Resistere per esistere”, “L’Alta velocità non si fa, punto e basta”, “Val di Susa libera”. Fino agli insulti, alle parole in spray nero sulla statale che recitano: “Virano viscido ruffiano”. Dove Virano di nome fa Mario, ed è l’architetto al vertice dell’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione, tavolo di concertazione tra governo, regione ed enti locali voluto nel 2005 dal terzo governo Berlusconi. Una struttura sotto schiaffo, con i No Tav che ne invocano la chiusura e spezzoni di centro-sinistra tentati di dargli ragione.
C’è un brutto pensiero, che circola in queste ore per la Val di Susa. È il ricordo di quanto accaduto quattro anni fa, quando migliaia di cittadini si opposero fisicamente alla polizia e furono coperti di botte e manganellate. “Allora contestavano i sondaggi del terreno”, commenta Andrea Debernardi, ingegnere trasportista che rappresenta nell’Osservatorio la Comunità montana della bassa valle. “Adesso il problema è diverso: siamo alla vigilia di quest’opera colossale, ma il governo insiste a muoversi su un doppio registro. Da un lato firma impegni ufficiali per tutelare la valle, garantendo il dialogo a livello locale, dall’altro pare interessato soprattutto a scavare gallerie”.
Il peggio, per i valsusini. Nessuno di loro ha dimenticato l’incomprensibile serenità con cui, lo scorso 30 luglio, il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ha avviato la fase operativa dei lavori. “In autunno”, ha avvertito i sindaci, “partiranno i carotaggi esplorativi”. E sta mantenendo la parola. A metà novembre, un esercito di tecnici inizierà a trapanare la Val di Susa in 37 punti. “Dopodiché, quelli che oseranno criticare la Torino- Lione, verranno spacciati per nemici della modernità, contrari al famoso Corridoio 5 che dovrebbe collegare Lisbona a Kiev”, prevede Angelo Tartaglia, docente di Fisica al Politecnico di Torino e membro dell’Osservatorio. “La verità è un’altra: molti amministratori, studiosi e cittadini della Val di Susa sono scettici, profondamente scettici sulla Tav, perché sanno di cosa si tratta. I politici nazionali, no: dicono “evviva, avanti tutta, lanciamoci verso la grande Europa”. Ma in totale ignoranza, pensando solo ai finanziamenti che si potranno ottenere”.
Parole dure, amare. In linea con una vicenda sempre in bilico tra sospetti e polemiche. Fin dai primi anni Novanta, quando le Ferrovie italiane hanno ipotizzato di collegare Torino e Lione con una linea superveloce. “Progetto suggestivo ma presto abortito”, dice Antonio Ferrentino, sindaco di Sant’Antonino di Susa oltre che presidente in uscita della Comunità montana della bassa valle. “La ragione è semplice: le previsioni, in quel momento, mostravano che il traffico passeggeri non sarebbe cresciuto a sufficienza per un’impresa tanto imponente”. Così si è cambiata idea, passando dal pianeta dei viaggiatori a quello dell’Alta capacità, dedicata soprattutto al traffico merci.
“Nel 2001″, racconta l’ingegner Debernardi, “Italia e Francia hanno sottoscritto un trattato per progettare la nuova linea, con tanto di tunnel transalpino lungo 50 chilometri”. Doveva essere il primo passo per un futuro di tecnologia e integrazione, e invece quattro anni dopo 60 mila valsusini sono scesi in strada a manifestare contro la Tav. “Per varie e non banali questioni “, ricorda Stefano Lenzi, responsabile del settore legislativo Wwf: “partendo dal rischio amianto, passando per i dubbi sull’utilità dell’opera – tuttora irrisolti -, fino alla tutela ambientale di un fondovalle largo nel suo punto massimo un chilometro e mezzo, e già attraversato da una linea ferroviaria, due statali (24 e 25), una provinciale e l’autostrada del Frejus”.
Proteste dei comitati No Tav
Un dato è certo, a prescindere dagli schieramenti pro o contro Tav. Se in questa fine 2009 la Torino-Lione è ancora materia incandescente, in Val di Susa, capace di spaccare in due alla vigilia delle elezioni locali (7 novembre) il Partito democratico, con gli amministratori valligiani ostili all’opera e i vertici romani che li scomunicano sui giornali, è perché qualcuno non ha mantenuto le promesse.
“E quel qualcuno si chiama governo “, ammettono gli stessi tecnici dell’Osservatorio. Niente a che vedere con la miopia retrò di qualche estremista, o con l’egoistica sindrome Nimb (”Not in my backyard, Non nel mio giardino”). Piuttosto, riconosce il trasportista Debernardi, “si è disatteso, quasi completamente, il documento chiave dell’Osservatorio, intitolato “Punti di accordo per la progettazione della nuova linea e le nuove politiche di trasporto””. Sei pagine dove, nel giugno del 2008, il presidente Virano ha indicato le conclusioni del suo gruppo di lavoro. Sottolineando, nero su bianco, “l’indispensabilità di un coordinamento rigoroso di tutti gli interventi trasportistici concordati, degli impegni assunti con le comunità locali, e delle logiche progettuali relative agli aspetti tecnici e paesaggistici, territoriali e ambientali”.
“In pratica”, sintetizza il professor Tartaglia, “un’assicurazione a 360 gradi che gli enti locali e il governo avrebbero lavorato assieme: sia in Val di Susa, sia nella tratta che attraverso l’hinterland raggiunge Torino “. Premesse a cui l’Osservatorio ha fatto seguire un elenco delle priorità da rispettare. Ad esempio, la ratifica del Protocollo trasporti della Convenzione alpina (alla quale aderiscono anche Francia, Svizzera, Austria, Slovenia, Germania, Principato di Monaco e Liechtenstein). “Lo scopo era fornire una cornice giuridica al trasferimento del traffico dalla strada alla rotaia”, spiegano gli esperti, “rinunciando nel frattempo alla costruzione di nuove autostrade transalpine”. Ma le parole sono rimaste parole: “Lo scorso aprile”, dice Debernardi, “il protocollo è stato approvato dal Parlamento europeo, mentre la ratifica italiana sta tardando ad arrivare”.
Stesso problema, per altri punti essenziali del documento di Pra Catinat. Ad esempio, riguardo all’impegno preso per “il progressivo aumento, a partire dal 2009, della quantità e qualità del servizio ferroviario passeggeri della linea storica”, con “l’intervento straordinario sulle stazioni” e il miglioramento di”efficienza e comfort “. Promesse apprezzate dai politici locali, ma che suonano grottesche arrivando nella stazione di Susa. Qui, dei tre binari esistenti due sono interrotti, recisi materialmente, e nessuno si è messo all’opera per riattivarli. Di più: nella costante penuria di treni, le rotaie sono occupate da cassette di polistirolo, preservativi, lattine. Per non dire della sala d’aspetto o della facciata, in condizioni imbarazzanti.
“Scrivetelo, per favore! Spiegatelo che non siamo folli rivoluzionari, ma soltanto cittadini in allarme…”, chiede il No Tav Claudio Giorno sotto al patio del presidio di Borgone, nella bassa valle. “La cosa che pochi sanno, fuori dalla Val di Susa, è che a gennaio 2009 il governo ha siglato un accordo con la Regione Piemonte per favorire il trasferimento modale (da strada a rotaia) e finanziare il sistema ferroviario torinese”. Ma nonostante questo, aggiunge, “nessuno ha visto i 200 milioni che avrebbe dovuto stanziare il ministero delle Infrastrutture: soltanto 500 mila euro, sono previsti dallo Stato. Briciole, in confronto al necessario, una presa in giro che ci offende e demoralizza…”.
“È vero”, ammette il presidente e commissario straordinario dell’Osservatorio Virano, “il governo non ha ancora rispettato tutti gli impegni presi. Ma ciò non significa che non lo farà. E comunque, l’Osservatorio continua a lavorare per una gestione condivisa dell’opera”. Un impegno apprezzabile, anche se rischia di perdersi tra mille contraddizioni. Per dire: “Nel documento di Pra Catinat”, nota il Wwf, “si invita alla graduale limitazione dei mezzi pesanti sulle strade alpine, essenziale in Val di Susa perché il trasporto si sposti dai camion ai vagoni”. Eppure il governo “ha fatto finta di niente”, denunciano gli ambientalisti: “Anzi: continua a spingere nella direzione opposta, incentivando gli autotrasportatori con la legge 133 del 2008, che garantisce contributi pubblici contro gli aumenti del gasolio”.
Dopodiché non è difficile, per i paladini dell’anti-Tav, raccogliere applausi e voti in valle e nel torinese. Basta che elenchino le promesse fatte dal governo, o i buoni propositi dell’Osservatorio, e li confrontino con la realtà. “Sia chiaro, non vogliamo bocciare a priori la Torino-Lione”, precisa Nicola Pollari, sindaco Pd di Venaria, 35 mila abitanti alla periferia nord ovest di Torino, “ma nemmeno permettere che siano umiliati i territori”. A Venaria, dice il sindaco, lo spauracchio è che l’Alta capacità strangoli ulteriormente la cittadina, già assediata da infrastrutture ingombranti come una tangenziale, l’autostrada, più tre linee ad alta tensione. E poco cambia, spostandosi nella vicina Rivalta. “Il punto di domanda”, sostiene il sindaco Amalia Neirotti, presidente piemontese dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), “è se la Tav possa davvero incentivare l’economia locale, oppure è soltanto un treno che corre veloce”. Poco distante dal suo ufficio, indica una delle tante incognite Fiat: “un’area in semi disarmo, pari a un milione 750 mila metri quadrati, che potrebbe in teoria beneficiare della Tav, se qualcuno si degnasse di ragionare a un tavolo”. Qualche chilometro a fianco, invece, si accede liberamente all’interporto di Orbassano, indicato dall’Osservatorio come punto focale per il carico e lo scarico delle merci. “Uno spettacolo desolante”, dice il No Tav Alberto Poggio. Poi cammina tra i pochi treni presenti e i tanti binari morti, arrugginiti, in parte smantellati.
Riuscirà tutto questo a diventare in tempi accettabili la fantastica Tav? Riusciremo, ammesso che cresca il traffico verso nord di persone e materiali, e che la grande opera si riveli sensata, a garantire standard internazionali? Dura, molto dura suggeriscono i numeri. Soltanto la tratta comune, quella con il tunnel di oltre 50 chilometri e relativa galleria geognostica (che il governo preme per realizzare, nel comune di Chiomonte, ancor prima che venga fissato definitivamente il tracciato) costerà a Italia e Francia 9 miliardi 820 milioni di euro (vedi scheda). Ma questo scoglio non spaventa i politici. Al contrario: “Tutta la storia della Tav, in Italia, è fatta di soldi che non c’erano e che non sono mai arrivati “, sorride l’esperto di Alta velocità Ivan Cicconi. Dunque preferiscono guardare altrove, i palazzi romani: magari ai 671,8 milioni di euro con i quali l’Europa sponsorizza la tratta comune al confine (affidata alla società Ltf, Lyon Turin Ferroviaire), o ai 52 milioni 740 mila concessi dalla Ue al segmento italiano. “Cifre importanti, che meriterebbero condivisione e trasparenza”, sottolinea Antonio Ferrentino, della Comunità montana della bassa valle: “non il clima da inciucio e prepotenza che stiamo vivendo”.
Il riferimento, esplicito, è alla legge Obiettivo: quella che consente al governo di realizzare grandi opere senza coinvolgere direttamente gli enti locali nei progetti preliminari (e, a ruota, nelle valutazioni di impatto ambientale). “Quattro anni fa”, ricorda Ferrentino, “la presidente del Piemonte Mercedes Bresso ha applaudito l’uscita da questa procedura, in nome “del dialogo e della concertazione”. Oggi, la stessa Bresso, dà il via libera come Virano per riportare la Torino-Lione in quella legge scivolosa”. Un esempio, conclude Ferrentino, “della coerenza in campo”. E una provocazione per la gente della Val di Susa: “ancora più esplosiva, quando arriveranno sul posto le trivelle ministeriali”.