Per leggere la prima puntata “Un autoporto fantasma direttamente dagli anni ’70″clicca qui.
Acciaio e veleni, una lunga storia di inquinamento in bassa Val di Susa
Spesso la Val di Susa viene descritta dai giornalisti e dai promotori del TAV come un luogo arretrato, abitato solo da montanari che pascolano mucche (o caprette, come ebbe da dire una delle madamine) e vivono idealizzando il passato. Niente di più falso. La Val di Susa, come tante altre valli alpine del nostro paese, ha subito dei violentissimi cicli di industrializzazione fin dall’ottocento. Dalla bassa valle fino ad alcune delle piane di montagna ci si trova davanti a un susseguirsi di capannoni, fabbriche e supermercati che, come abbiamo scritto nella scorsa puntata, riempiono quasi ogni spazio in un continuum di urbanizzazione.
La valle ha misurato sulla propria pelle ogni sfaccettatura di quello che è stato ed è il tanto incensato “progresso” e negli anni ha imparato a farne un bilancio. L’industrializzazione nel nostro territorio, come un po’ in tutto il paese, è stata effimera e non ha resistito davanti ai grandi cicli di crisi e alla trasformazione delle filiere internazionali riducendosi di anno in anno (sebbene ancora in alcune aree si conservino significativi ambiti produttivi). Dalle cave in alta valle alle fabbriche nella bassa le luci si sono spente lasciando soltanto scheletri vuoti, inquinamento, rottami e interrogativi rispetto a questo modello di sviluppo che consuma in fretta lasciando ferite ambientali e sociali che ci metteranno secoli a rimarginarsi.
A San Didero questo modello è stato applicato in tutta la sua crudezza. Leggiamo da un articolo di alcuni anni fa di ambientevalsusa:
“Quello dell’inquinamento atmosferico, delle acque e dei suoli è per la Valle di Susa il più recente ma anche il più datato dei problemi ambientali. Collocato immediatamente a monte di quella che per molti anni è stata la più grande area industriale del paese, il territorio ha dovuto fare i conti con tutte le “ricadute” indesiderabili delle grandi concentrazioni produttive.
Dal traffico pesante allo smaltimento (abusivo) di scorie nocive, alle immissioni in atmosfera dei fumi generati dai primi insediamenti industriali risalenti al 1800 fino ad arrivare alle acciaierie di fusione del rottame che, in valle, sono sorte attorno agli “anni sessanta” trovando collocazione tra Bruzolo, San Didero e Borgone.
Ben accette dalle Amministrazioni Comunali allora in carica (alle prese con l’agonia dei Cotonifici e con la conseguente grave perdita occupazionale) attirarono subito la preoccupata attenzione dei cittadini a causa della grande quantità di fumo denso e maleodorante che, ad ogni colata, fuoriusciva direttamente dalle volte dei capannoni privi, all’epoca, persino dei camini oltre che di idonei depuratori.”
L’acciaieria di cui si parla è la Cravetto, diventata poi Ferrero e infine Beltrame.
Se si scrive San Didero sul motore di ricerca dell’archivio storico di La Stampa come abbiamo fatto noi, si è impressionati da quali siano le principali tematiche degli articoli trovati: oltre a quelli che abbiamo nominato nella scorsa puntata rispetto all’autoporto fantasma, oltre ad alcuni e sparuti trafiletti di cronaca minuta, la maggior parte delle notizie ruotano intorno all’acciaieria. E non sono buone notizie: si parla di incidenti sul lavoro, fumi e polveri preoccupanti, incendi inquietanti, licenziamenti.
Sarebbe un eufemismo definire “inesistente” la sicurezza all’interno dell’acciaieria. Nel decennio tra l’89 e il 2000 vengono riportati otto incidenti sul lavoro di cui tre mortali, almeno per quanto abbiamo potuto leggere. Probabilmente il numero è molto maggiore, considerando che a fare notizia sono solo quelli particolarmente gravi.
Qual è la risposta dei proprietari dell’azienda a questo stillicidio di infortuni? Un rafforzamento delle misure di sicurezza? No, affatto, riduzione degli stipendi a chi rimane infortunato e in almeno un caso il licenziamento.
Questo è il trattamento da padrone della ferriera ottocentesco che i dirigenti della Ferrero riservavano ai propri lavoratori. Si può ben immaginare dunque quale fosse l’attenzione per i territori confinanti con la fabbrica e per chi vi abitava.
Già nel 1973 la preoccupazione dei cittadini di Borgone, Bruzolo, San Didero, Villar Focchiardo e San Giorio cresce e si iniziano a formare i primi comitati spontanei che chiedono di prendere provvedimenti per i fumi che impestano l’aria della bassa valle. Vengono raccolte oltre 1300 firme e, come raccontato nel documento di ambientevalsusa che abbiamo citato sopra, “l’attività di protesta spontanea […] riesce a coinvolgere i cittadini e i Sindaci degli altri paesi in un’azione tenace che attraverso molte assemblee pubbliche porta prima alla sottoscrizione di un esposto alla Magistratura e, successivamente, all’adozione da parte della Cravetto di Bruzolo (poi Ferrero ed oggi Beltrame) e delle Ferriere Alpine di Borgone (oggi smantellate), dei primi depuratori per il filtraggio a secco dei fumi. Solo molto più tardi, e dopo ripetute azioni di denuncia da parte delle amministrazioni locali, ma anche di privati cittadini, verranno installati dei depuratori più efficienti anche se il loro uso, specialmente nelle ore notturne, apparirà molto frammentario (per poter abbattere gli elevati costi di manutenzione e per migliorare il rendimento degli impianti).”
Ma è a fine anni ’90, inizio 2000, complice la crescente sensibilità ambientale, che balza all’onore delle cronache il problema delle emissioni dell’acciaieria. Nel 1994 diciassette sindaci della bassa valle denunciano in un esposto l’aumento dell’inquinamento dovuto ai fumi della Ferrero. L’azienda in tutta risposta assicura che è stato costruito un impianto che dovrebbe abbattere del 95% gli inquinanti. I cittadini e gli amministratori locali non rilevano questi presunti miglioramenti delle condizioni dell’aria e continuano esasperati la battaglia per capire cosa stanno respirando. Devono passare altri dieci anni prima che le istituzioni prendano sul serio il problema posto dagli abitanti e finalmente a fine 2003 interviene l’Arpa. Nel frattempo la Ferrero è stata acquistata dal Gruppo Beltrame.
L’intervento dell’Arpa conferma i timori che da oltre trent’anni agitavano gli abitanti della bassa valle. C’è diossina nelle polveri dell’acciaieria, le analisi sono ancora parziali ma i risultati già disegnano un quadro inquietante. L’Arpa fa cinque prelievi e rileva che la quantità di simil diossina (Pcb dioxine like) è di venti volte superiore ai valori di riferimento di allora.
Si squarcia dunque il velo di ipocrisie che per molto tempo aveva circondato l’acciaieria e tra fughe di notizie, reticenze ed accuse incrociate ormai le istituzioni devono dimostrare di star facendo qualcosa.
Luna Nuova riporta il 24 settembre 2004: “Alla fine la valle di Susa si scopre inquinata anche da diossina. Come era previsto, lo studio dell’Arpa nato dalle ricerche sull’inquinamento delle acciaierie Beltrame di San Didero-Bruzzolo ha dimostrato che la valle è contaminata. Tutta contaminata: in 43 punti su 45 esaminati, da Avigliana a Susa. Gravemente contaminata, nei terreni, da Pcb, i policlorobifenili (una famiglia di composti in parte simili alle diossine), e in due punti contaminata anche di diossine”. I terreni dell’intera bassa e media valle sono dunque ricchi di contaminanti con naturalmente una maggiore concentrazione nei pressi della Beltrame e nelle zone dove il vento trascina i fumi.
Il 24 febbraio nel frattempo la Provincia di Torino annuncia una diffida nei confronti della Beltrame per l’adeguamento degli impianti e l’eliminazione delle emissioni. Ma è datato 6 luglio 2005, a più di un anno di distanza, questo articolo di La Stampa, che riportiamo in calce, dove si dice che secondo i rilevamenti le emissioni di diossina e Pcb non si sarebbero affatto fermate rispetto all’anno precedente ma anzi sarebbero aumentate rispettivamente del 70% per la prima e del 424% per il secondo: secondo Claudio Cancelli, docente del Politecnico, la Beltrame avrebbe incrementato la produzione. L’articolo segnala un altro dato importante e cioè il fatto che nel Comune di San Didero è stato riscontrato una mortalità superiore al livello nazionale per quanto riguarda i tumori allo stomaco e alla laringe.
Dopo un’ordinanza comunale che impone la chiusura dell’azienda il 20 agosto 2005 finalmente partono i lavori di adeguamento e viene installato un dispositivo per l’abbattimento delle polveri. Il 2005 è anche l’anno in cui si inizia a parlare della bonifica dei terreni, più volte richiamata da politici e istituzioni, ma mai avvenuta realmente. Ancora fino al 2011 però i valori rilevati per quanto riguardava diossine e pcb in particolare risultavano fuori norma, nonostante i lavori di adeguamento.
Ma non finisce qui: sempre nel 2005 la Beltrame è lo scenario di un altro incidente inquietante che poteva avere esiti gravissimi. “Era il lontano 28 ottobre 2005 quando l’allarme nella ditta ex-Beltrame suonava e si scopriva l’incidente radioattivo, una sorgente di cesio 137 veniva fusa accidentalmente. Un camion in uscita veniva fermato e trovate su esso polveri residue dell’attività di fusione dei rottami ferrosi, la ditta così scopriva radioattività nell’impianto fumi, il forno fusorio veniva bloccato”.
L’acciaieria Beltrame di San Didero chiude definitivamente dieci anni dopo, tra alterne vicende, nel 2014 fiaccata definitivamente dalla crisi globale del 2009 e dalla ristrutturazione delle filiere che ne è conseguita. Al tavolo delle trattative con i sindacati si sedette (non si sa a quale titolo) anche Mario Virano, allora presidente dell’Osservatorio sul Tav Torino-Lione, provando a vendere aria fritta come di consueto. Di seguito il commento di Nicoletta del 2013 a quell’avvenimento:
“Tavolo in Regione sulla Beltrame, presente tra gli altri Virano. I dirigenti della Beltrame ribadiscono che, per rispondere alle loro esigenze di produzione (affari), bastano lo stabilimento a Vicenza e quello nel nord della Francia, “dove l’energia elettrica costa meno”, ” a meno che intervengano aiuti economici”, Di qui l’intervento di Virano e dei membri dell’osservatorio TAV e la previsione esplicita di utilizzare le compensazioni per il TAV ai fini di “studiare soluzioni” per la Beltrame di Bruzolo-San Didero. Lo stesso giochetto, la stessa azienda che fu utilizzata a fine anni ottanta nel tentativo di imporre il megaelettrodotto Grand Ile-Moncenisio-Piossasco.
L’ipotesi del megaelettrodotto (questa volta in cavidotto e relativi espropri di terreno) ritorna ora ai fini di alimentare cantieri e strutture TAV e parallelamente ricompare il problema dell’acciaieria. La Cravetto poi Ferrero ora Beltrame sfrutta, inquina, uccide e ricatta da almeno quarant’anni; e vuole continuare a farlo, utilizzando la guerra tra poveri e, infine, scappando coi soldi della cassa. In tutti questi anni di lotta abbiamo acquisito forza, generosità, capacità progettuale, chiarezza sul mondo e sul lavoro che vogliamo. Un futuro diverso è possibile anche per la Beltrame, purchè a decidere siano, insieme, i lavoratori e la popolazione e a pagare sia chi da sempre ha impunemente sfruttato e inquinato. Quanto ai lobbisti del TAV e agli sfruttatori vari, fingono di non capire che si avvicina la resa dei conti; ma le catene si spezzano e la sopportazione degli oppressi non è infinita”
Della chiusura delle acciaierie e del nostro punto di vista ne parlammo ampiamente qui.
Questi sono i terreni, privi di bonifica (lo ripetiamo), che Telt oggi vuole movimentare in giro per la valle per la costruzione del nuovo autoporto.
Ma di cosa si parla quando si nominano diossine e Pcb?
Le diossine, nel loro insieme sono molecole molto varie a cui appartengono composti cancerogeni. A esse vengono ascritti composti estremamente tossici per l’uomo e gli animali, arrivando a livelli di tossicità valutabili in ng/kg, sono tra i più potenti veleni conosciuti.
I policlorobifenili, noti spesso con la sigla PCB, sono una classe di composti organici la cui struttura è assimilabile a quella del bifenile, sono inquinanti persistenti la cui tossicità è spesso accostata a quella della diossina.
Il PCB entra soprattutto nei sistemi acquosi, penetra nel corpo degli animali ed essendo liposolubile, passa e si accumula nei tessuti adiposi.
Due dei disastri più importanti riguardanti l’inquinamento da diossina nel nostro paese sono quello del Seveso e quello dell’Ilva di Taranto. Il primo è considerato tra gli otto peggiori disastri ambientali della storia, con conseguenze per la salute che si trascinano tutt’ora (consideriamo che in alcune aree della bassa valle durante le rilevazioni del 2004-2005 di cui abbiamo parlato prima si riscontrava una concentrazione di diossina pari a Seveso B, cioè alla zona meno inquinata di quelle interessate dall’incidente). Per quanto riguarda Taranto la situazione è addirittura peggiore, infatti secondo l’associazione PeaceLink il dato annuo delle emissioni di diossina, proiettato su 45 anni di funzionamento dell’impianto di agglomerazione, fornirebbe un ammontare di oltre 7 chili e mezzo di diossine, ossia tre volte il quantitativo fuoriuscito da Seveso, con problematiche sanitarie connesse all’esposizione cronica. Oltre a questi dati sulle emissioni, hanno fatto molto discutere le analisi fatte sugli alimenti locali, che in alcuni casi hanno fatto registrare livelli di diossine al di sopra dei valori di legge, come nel caso del formaggio fatto analizzare da PeaceLink, o del latte e dell’acqua di pozzo fatti analizzare dal dipartimento di Prevenzione dell’Asl di Taranto.
Per quanto riguarda la contaminazione da PCB invece il caso studio è quello della Caffaro di Brescia: l’azienda produsse Pcb indiscriminatamente fino agli anni ’80 con emissioni fino a 5000 volte oltre i limiti fissati dalla legge.
Ovviamente stiamo parlando di disastri su una scala diversa da quello che riguarda San Didero e i comuni adiacenti. Ma questi inquinanti, come ampiamente dimostrato, sono molto persistenti. Per porre rimedio alle contaminazioni del Seveso e di Brescia sono state utilizzate differenti strategie più o meno efficaci, dalla bonifica alla costituzione di siti di interesse nazionale, in ogni caso con un costante monitoraggio, ma nessuno sembra si è mai sognato di movimentare i terreni o costruire in quelle zone, men che meno un’opera faraonica come un’autoporto.
Pensate sia tutto? Quando si parla di veleni e infrastrutture dannose, quando si parla di ricatto salute – lavoro in Val di Susa se ne parla con cognizione, figlia di queste tristi esperienze.
Infatti la zona del bosco di San Didero viene nominata più volte in relazione al ritrovamento di rifiuti tossici seppelliti illegalmente, qui di seguito riportiamo alcuni degli articoli che ne trattarono:
(Articolo 1 | Articolo 2)
In particolare questi ultimi due sono riferiti all’inchiesta che ha certificato, tra le altre cose, che la ‘ndrina di San Mauro Marchesato ha svolto importanti lavori nel cantiere per il tunnel geognostico del TAV in Val Susa.
Alla luce di queste considerazioni ci permettiamo una nota di attualità: pochi giorni fa un redivivo Virano si è lanciato in uno dei suoi sproloqui da arrampicatore sui vetri professionista associando il Tav Torino-Lione al Green Deal. Abbiamo risposto già ampiamente qui alle baggianate che ha espresso, ma è patetico vedere uscire dalla sua bocca discorsetti in difesa dell’ambiente, dalla stessa bocca che ha promesso le compensazioni del TAV all’industria che per anni ha inquinato e avvelenato la Val di Susa per qualche oncia di consenso in più nei confronti di un progetto antistorico fermamente rifiutato dal territorio. Come può parlare di ambiente e cambiamento climatico un sistema delle grandi opere che sarebbe disposto a mettere a rischio la salute di chi abita i territori rimestando letteralmente nel torbido?
Nelle prossime puntate:
La strategia della gazza ladra. Telt, i fortini e noi
Salute, qualità della vita, ambiente. La voce degli abitanti