Mercoledì scorso un’ennesima ditta è stata estromessa dal cantiere del TAV per domanda dell’anti-mafia. Si tratta del terzo caso, dopo quello delle ‘ndrine coinvolte nell’inchiesta San Michele che avevano realizzato alcuni lavori per il cantiere geognostico.
TELT parla pudicamente in un comunicato di un’impresa impegnata in « lavori marginali » e di « tentativi di infiltrazione » come se la presenza della mafia fosse una preoccupazione futura di strani montanari e non una concretissima realtà già acclarata da una sentenza ormai arrivata in cassazione. In effetti anche in questo caso, quando è stata beccata, la ditta operava già dentro il cantiere e le commesse se l’è già belle che intascate confermandoci ancora una volta un fatto incontrovertibile: IL TAV È GIÀ ANDATO a finanziare organizzazioni mafiose ancor prima di cominciare. Mica male, se pensiamo sono stati svolti solo lavori propedeutici per meno del 5% dell’opera. Se si continua con questo ritmo le imprese in odor di mafia che beneficeranno della cuccagna saranno decine.
Ancor più grave, di questa ditta non sapremo mai il nome. TELT, con un atteggiamento che a questo punto non possiamo che definire omertoso, si rifiuta di rispondere alla stampa in merito. La trasparenza evidentemente vale solo per i grafichetti trafficati da mettere sui fogli patinati dei dossier stampa ma quando si arriva alle questioni che davvero interessano il pubblico… muti.
Se aggiungiamo che casi del genere sono probabilmente solo la punta dell’iceberg e vengono fuori soltanto grazie alla normativa anti-mafia binazionale approvata su pressione dei notav, c’è veramente poco da stare sereni. Ma d’altronde questo in Val di Susa l’avevamo capito da tempo come testimonia una famosa scritta sul Musiné. Ancora una volta la storia ci sta dando ragione.