Riportiamo qui di seguito un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 31 gennaio, unico quotidiano che si è per ora degnato di chiedersi cosa c’è dietro le panzane del Min. dell’Interno che da giorni gioca a chi la spara più grossa sul TAV. Salvini, in effetti, va millantando in televisione di 24 MILIARDI DI COSTI (sic!) in caso di mancato realizzo della seconda linea Torino-Lione, contando serenamente su una stampa compiacente che mai gli chiederà conto di tali ormai completamente folli cifre, ebbra com’è, da mesi, di TAV-ernello. Dall’inchiesta è venuto fuori, dati alla mano, che quella che in Val di Susa è stata rapidamente soprannominata “l’analisi ciucca” non è altro che il copia-incolla delle veline della società che vuole costruire il tunnel, TELT. Della serie, vale proprio tutto….
Nella polemica sul Tav Torino-Lione tra la Lega e il Movimento 5 stelle succedono cose curiose. Da Giorni la Lega fa filtrare di avere una fantomatica controanalisi da contrapporre a quella costi-benefici affidata dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli agli esperti capitanati dall’economista Marco Ponti. Il controdossier dimostrerebbe che il Tav “sta in piedi” sulla base di un assunto: fermarlo costerebbe più dei 10 miliardi ancora da spendere per realizzarlo. È finito su alcuni giornali, con tanto di tabella dettagliata sui costi. Il risultato a cui arriva è cla- moroso: “Fermare il Tav costerebbe 24 miliardi”, tre volte il costo del solo tunnel di base. Il dossier, però, altro non è che i numeri sfornati da Telt, il costruttore pubblico italo-francese dell’opera. E provengono in gran parte da un vecchio studio curato per il costruttore da un gruppo di docenti della Bocconi che da anni sforna numeri positivi sulla Torino-Lione, e che sono anche soci di una società consulente di Telt. Un po’ come chiedere
ANDIAMO con ordine. Il dossier elenca una serie di costi dello stop e si basa sui numeri forniti da Telt all’Osservatorio per il Tav di Palazzo Chigi presieduto dal commissario di governo Paolo Foietta, vero pasdaran dell’opera. Nato nel 2006, l’Osservatorio, in teoria parte terza, si prodiga da sempre per spiegare la bontà dell’opera. È talmente indipendente che il predecessore di Foietta, il fassiniano (sic) Mario Virano è stato poi promosso a direttore generale di Telt. Nei mesi scorsi Foietta ha ammesso che le previsioni fatte dieci anni fa per giustificare l’opera erano sballate, ma “in assoluta buona fede”.
E veniamo al punto. Un vero dossier della Lega in realtà non esiste. Quella filtrata sui giornali è una tabella contenuta in un documento di tre pagine inviato da Telt al ministero delle Infrastrutture il 30 novembre scorso. I costi diretti dello stop vengono quantificati in circa 4,2 miliardi (“nella ipotesi massima”). Tra spese già effettuate – 1,4 miliardi – e presunti costi di ripristino dei cantieri, i rimborsi per i contratti di progettazione già firmati, le perdite finanziarie e le “penali” (di cui Foietta aveva smentito l’esistenza) si arriva a 2 miliardi e dispari. Per arrivare a 4,2 miliardi si deve sommare anche il costo dell’ammodernamento della vecchia linea, oggi sottoutilizzata. Un passaggio che per Telt e Foietta diverrebbe obbligatorio in caso di stop al Tav.
ALL’APPELLO mancano però altri 20 miliardi. Da dove arrivano? Sono sintetizzati alla voce “Costi indiretti. Perdite dei ricavi e dei benefici socio economici”. L’origine di questa cifra è, manco a dirlo, sempre il proponente dell’opera. Risale a uno studio commissionato nel 2014 dall’allora Ltf (oggi Telt) al Centro di economia regionale, dei trasporti e del turismo (Certet) della Bocconi, fondato e presieduto da Lanfranco Senn, professore emerito dell’ateneo milanese. Al Fatto, Telt spiega che ha pagato il dossier 59 mila euro. Lo studio aggiornava una vecchia analisi costi-benefici del Tav arrivando a quantificare in 20 miliardi i benefici socio-economici nel lungo periodo dell’opera. Perché ora sono considerati costi? Il ragionamento attuale è, in sostanza, questo: se i benefici potenziali sono di 20 miliardi, altri Paesi, come la Francia, coinvolti nell’opera potrebbero chiede- re danni per analoghi importi all’Italia se decidesse di fermarla.
Senn è un nome che ricorre da anni nel dibattito sul Tav. Ha più volte sfornato contributi per i “Quaderni” dell’Osservatorio per illustrare perché il Tav conviene. Nell’ultimo, usato per offrire “contributi tecnici” all’analisi costi-benefici ha stimato una domanda di circa 4,5 milioni di passeggeri annuali che “ potranno valorizzare i benefici derivanti dai risparmi di tempo e costo resi possibili dal Tav”. Oggi sono 700 mila l’anno sulla linea storica.
Nello staff di ricerca del Certet Bocconi compare anche Roberto Zucchetti, anche lui autore di contributi per l’Osservatorio, di cui è stato consulente fino a fine 2018 (compenso: 10 mila euro). A dirigere il comitato direttivo del Certet c’è un altro professore della Bocconi, Oliviero Baccelli. Nel 2011 l’Osservatorio gli chiese di coordinare l’analisi costi-benefici del Tav. Quattro anni dopo è stato no- minato nel Consiglio di amministrazione di Telt. I tre professori hanno contribuito a realizzare lo studio del 2014 e lavorano poi a vario titolo per la società di consulenza milanese Clas, di cui sono soci, che più volte ha redatto rapporti sull’impatto positivo del Tav. Sempre al Fatto, Telt spiega di non avere “rapporti contrattuali con l’Osservatorio Certet Bocconi né direttamente con i professori Zucchetti e Senn”, ma di avere pagato nel 2018 una consulenza a Class, cioè la società di cui è socio un membro del suo Cda, per un valore “inferiore ai 25 mila euro”.
Carlo di Foggia, FQ, 31/01/2019