Ci sono alcuni dati che sulla Stampa, Repubblica e Corriere della Sera, non si leggono mai.
Anzi il “giornalone unico” (ottima definizione di Marco Travaglio) in questi giorni si distingue proprio come cassa di risonanza delle iniziative del fronte SI TAV, e per critiche insulse e pretestuose contro la Giunta Appendino accusata di “decrescita felice” (Molinari sulla Stampa), dimenticando la “crescita infelice” del duo Chiamparino-Fassino che han lasciato a Torino il debito pro capite più alto d’Italia, (cioè fino a 3.500 euro per ogni torinese e che ancora oggi si avvicina complessivamente ai 3 miliardi di €.); debito che è la causa del taglio dei servizi e del peggioramento della qualità della vita nella Città Metropolitana.
Del resto le linee editoriali SI TAV che rimandano ai Gruppi Finanziari che controllano l’economia del Paese e l’informazione, non lasciano margini di autonomia ai giornalisti, sempre più fedeli alla linea della formazione più che dell’informazione.
Primo: i dati sui flussi del traffico sono sempre stati gonfiati a dismisura per creare nell’opinione pubblica l’idea della necessità di una nuova linea ad Alta Velocità tra Torino e Lyon.
Nel 1991 Confindustria affermava che nel 1997 l’attuale linea, che nel corso degli anni è stata ammodernata come l’attuale tunnel del Frejus e su cui da tempo passano i TGV e i carri Modalhor per il trasporto dei camion, sarebbe stata satura.
Dopo 27 anni da quella analisi l’attuale linea ferroviaria risulta utilizzata al 32 % della sua potenzialità e il traffico passeggeri con meta Lyon è risibile e non giustifica certo l’Opera.
Secondo: in Francia come in Spagna le merci non viaggiano sulle linee ad Alta Velocità ma su quelle ordinarie che in Spagna come in Portogallo sono a scartamento ridotto: altro che arrivare Lisbona!
Terzo: la Francia (Sncf ha un debito di 50 miliardi in particolare proprio per la costosa gestione delle linee ad Alta Velocità) ha rimandato al 2038, e dopo la verifica dei flussi di traffico, la decisione se progettare oppure no la tratta ad Alta Velocità Modane-Chambery.
Quindi in sostanza oggi non si sta più parlando della Torino Lyon ma solo di un tunnel di base, lungo 52 KM, scollegato dall’Alta Velocità sia in Francia che in Italia e di conseguenza l’Opera dovrebbe essere chiamata linea ad Alta Velocità Susa-Saint Jean de Maurienne (cittadina francese 30 Km ad ovest di Modane).
Inoltre per convincere la Francia, da sempre tiepida rispetto a questo progetto, l’Italia si è “generosamente” accollata il 57,9% per cento della spesa per il tunnel di base e la Francia solo il 42,1% anche se ben 45 km del tunnel sono in territorio francese e solo 12 km in territorio italiano!
Un tunnel davvero inutile (se non per chi lo vuole costruire… con soldi pubblici) mentre, rispetto all’inquinamento atmosferico di Torino e della cintura metropolitana, sarebbe ben più indispensabile sviluppare una maggiore e migliore rete di trasporto pubblico e con almeno altre due linee di metropolitana, anche per decongestionare il soffocante anello della tangenziale che registra più di 400.000 passaggi giornalieri e che ha una gran quota di responsabilità sull’inquinamento atmosferico.
C’è anche un’altra questione, ancora sottovalutata nei suoi effetti dirompenti sul sistema trasportistico italiano, che dimostra come la Torino Lyon sia ormai fuori tempo massimo rispetto all’evoluzione del trasporto delle merci: le due statali valsusine, così come altre direttrici di traffico, sono sempre più percorse, sette giorni su sette, da decine di camioncini con targa polacca o rumena con una capacità di carico compresa tra i 15/18 quintali che guadagnano quote di traffico a danno dei TIR ed anche del trasporto ferroviario che, in Italia, manca di una logistica efficiente.
E’ un modello di trasporto, su scala internazionale, che risponde alle nuove e ormai consolidate esigenze produttive delle aziende, che hanno abolito o comunque ridotto il deposito nei magazzini e che hanno quindi necessità di un continuo e flessibile rifornimento ad hoc (che il trasporto ferroviario non può garantire) dei pezzi o materiali per le necessità produttive, e anche per il rifornimento delle attività commerciali di media o grande dimensione.
E c’è un altro motivo dietro l’irreversibile affermazione di questo modello di trasporto: i bassi costi per le retribuzioni degli autisti calcolate su parametri dei Paesi dell’Est, pernottamento degli stessi sul mezzo e pasti consumati lungo la strada, la non percorrenza delle autostrade a pagamento, la possibilità di circolare nei giorni festivi quando sono invece fermi i mezzi più pesanti, il non uso del cronotaghigrafo e quindi, a discapito della sicurezza, la possibilità di guidare anche 14/18 ore giornaliere.
Un modello di “trasporto selvaggio” che aggrava la situazione trasportistica in un Paese in cui, in assenza di un Piano Nazionale dei Trasporti, le infrastrutture e in particolare le Grandi Opere non vengono programmate nell’interesse del Bene Pubblico ma vengono decise dagli interessi di chi le vuole costruire con soldi pubblici per averne poi la gestione privata.
Di tutto questo non si parla ma si progetta una marcia SI TAV: 40.000 per la Stampa e 100.000 per Repubblica……
Per cosa? Per un tratto di 52 km in galleria che ovviamente non può essere percorso a velocità elevata e slegato, sia ad est che ad ovest, dalla rete ad alta velocità !
Evidentemente l’onestà intellettuale è scomparsa e prevalgono solo gli interessi finanziari dei Poteri Forti che già hanno in mano il debito di Torino.
I problemi di sviluppo e occupazione del nord ovest sono ben altri e rimandano al grave ridimensionamento del settore metalmeccanico e manifatturiero, penalizzato dalle continue delocalizzazioni.
L’eventuale marcia SI TAV è anche un pessimo richiamo alla storia di Torino e della FIAT, dimenticando che proprio con quella marcia e la sconfitta della lotta operaia, complice un sindacato ambiguo ed incerto, iniziò, in assenza di un’opposizione operaia e sociale, il percorso che ci ha portato all’oggi dove la FIAT non ha più il centro produttivo a Torino ma negli USA, le autovetture sono principalmente costruite all’estero, FCA paga le tasse in Inghilterra ed ha la sede legale in Olanda e il nuovo manager Manley concluderà, con minori problemi d’immagine di Marchionne, l’operazione di rendere sempre più periferico il comparto auto italiano a cui, malgrado i forti utili (divisi tra gli azionisti) rimangono da anni e in particolare a Mirafiori cassa integrazione (a carico dell’INPS), contratti di solidarietà e nessun concreto progetto produttivo.
In tutto questo divenire Chiamparino giocava a scopone con Marchionne e tranquillizava gli operai e Fassino, nel referendum FIAT del gennaio 2011, invitava a votare SI sulle proposte aziendali e sui sacrifici dei lavoratori ….in cambio di investimenti che poi non ci sono stati.
I due sono stati scavalcati persino da Cesare Romiti, ex uomo forte di Agnelli che, in una recente intervista al Corriere della Sera sulla nomina di Michael Manley, coglie la realtà del progressivo allontanamento dall’Italia del comparto automobilistico e la prossima scomparsa del marchio FIAT, e soprattutto coglie l’involuzione del passaggio da un’industria produttiva a una prevalenza della speculazione finanziaria “…mi dispiace constatare che gli interessi degli azionisti vengano sempre anteposti a quelli del Paese..”.
Tesi confermata dalla recente vendita della Magneti Marelli (l’azienda di componentistica di FCA) alla nipponica Calsonic Kansey ora di proprietà del fondo Usa Kkr, che sicuramente più che agli investimenti produttivi guarderà ai dividendi degli azionisti.
E questa operazione finanziaria già garantisce agli azionisti un dividendo straordinario di 2 miliardi di euro ma ai 10.000 operai del gruppo e a quelli del relativo indotto regala l’incertezza del futuro.
Chiamparino minaccia il Referendum…strana proposta da parte di un esponente del PD, partito che nulla ha fatto per rendere esecutiva la volontà espressa dagli Italiani nel Referendum del 2011 contro la gestione privata dell’acqua (95% dei votanti favorevoli per l’acqua bene comune).
Conta di avere il pieno appoggio mediatico del Giornalone Unico (Corriere della Sera La Stampa e Repubblica) e dei poteri forti della Città, alcuni dei quali, come già detto, hanno in mano il debito di Torino, in gran parte dovuto ai costi delle Olimpiadi del 2006, e che è la causa della difficoltà finanziaria e amministrativa del Capoluogo.
Questa è la realtà con cui Torino deve confrontarsi per trovare le giuste soluzioni di un positivo sviluppo, mentre è inutile e controproducente inseguire le sirene di una linea ferroviaria che, eventualmente, promette solo il trasporto di merci prodotte altrove per andare altrove: non sono i “corridoi di traffico” che possono produrre i posti di lavoro di cui ha necessità il nord ovest e in particolare la Città Metropolitana.
G.V.