“Chiedo la condanna di tutti gli imputati: 10 mesi per Gianni Vattimo, con la sospensione condizionale, 9 mesi per Nicoletta Dosio e 7 mesi per Luca Abbà”
Così sentenzia il pm con l’elmetto Rinaudo per terminare l’ennesima udienza di uno dei tanti processi imbastiti contro il movimento notav ed ogni persona che osi collaborare con esso. Qui siamo sulla scia del delirio di onnipotenza del piccolo (di statura) togato che, non contento di denunciare scrittori, giornalisti, ricercatori, pensionati, alberi e sassi, s’incaponisce nel voler far condannare Gianni Vattimo, noto filosofo torinese nonché europarlamentare all’epoca dei fatti, per falso ideologico di privato in atto pubblico.
La vicenda riguarda le visite ai detenuti rinchiusi nel carcere delle Vallette (tra i quali alcuni militanti Notav) che l’allora europarlamentare Gianni Vattimo fece nell’agosto e settembre 2013, accompagnato da Nicoletta e Luca nella qualità di suoi consulenti per i movimenti sociali. Scelta legittima che nulla aveva (e ha) di illegale, nè tantomeno di falso.
Visibilmente irritati dalla decisione del Giudice, nel 2014 i pm hanno presentato ricorso in cassazione contro la sentenza di archiviazione, e in seguito si è riaperto consumato il processo fino alle richieste di oggi e alla prossima udienza del 25 Gennaio.
In qualsiasi contesto un processo del genere non si sarebbe mai tenuto, ma nella procura delle meraviglie invece tutto è possibile. Rinaudo chiede 10 mesi per Vattimo, 9 per Nicoletta e 7 per Luca, ed è lo stesso che chiede di togliere le misure degli arresti domiciliari alla stessa Nicoletta, in maniera quantomeno insolita, e domani sarà in discussione nell’udienza richiesta dal piccolo (di statura) togato e dal procuratore generale Spataro.
La magistratura prosegue nel voler favorire il “sistema tav” attraverso una crociata che meriterebbe di essere rilevata almeno dagli organi di stampa, da chi svolge la professione di giornalista senza essere (o mirare a finirci) sul libro paga di Telt e affini: ma forse sono tutti/e troppo impegnati a dare solo notizia dell’ennesimo rinvio a giudizio, come se fosse una prassi.