Il processo d’appello per i fatti del 27 giugno e del 3 luglio 2011 entra nelle sue fasi conclusive, con le difese che dovrebbero chiudere le discussioni tra le udienze del 3 e del 7 novembre e con ancora la possibilità di repliche da fissare. Dopodiché sapremo la decisione dei giudici rispetto la sentenza di condanna che ci aspettiamo in continuità a quella precedente.
Sono molte le cose di cui parlare, di sicuro tanto è già stato scritto, ma è doveroso arrivati a questo punto del processo d’appello scrivere qualche riga in più sul procuratore Saluzzo che ha deciso di indossare l’elmetto tanto conteso dai pubblici ministeri all’interno della procura di Torino.
Ripercorrendo quindi la requisitoria del procuratore Generale Saluzzo abbiamo scorto un’accanita difesa dell’opera Tav, a suo dire ampiamente legittima e soprattutto non imposta al territorio, frutto di una volontà popolare (non c’è dato modo di sapere dove questa si sia espressa) per cui diventa “dovere” della legge farla rispettare e chi non la rispetta dev’essere punito.
Quindi, questo processo, sarebbe il prezzo da pagare per aver scelto di stare contro lo Stato.
Saluzzo ha sottolineato anche come gli imputati sarebbero potuti essere molti di più, ma che l’obbiettivo della procura oggi è quello di capire se la corte confermerà totalmente o parzialmente le condanne di primo grado.
Sotto la lente d’ingrandimento del procuratore è finito inevitabilmente il più grande smacco allo Stato, quello della Libera Repubblica della Maddalena, per noi grande esperimento di partecipazione e condivisione, per loro una “sorta di campo minato, nessuno poteva entrare, nessuno che non fosse dei loro…Siamo nell’illiceità (…)” pertanto l’intervento del Prefetto, nell’interesse della collettività, doveva essere quello di “riconquistare” il territorio reso impenetrabile dalle forze dell’ordine dai No Tav, poiché tale resa della stato era già costata metà del finanziamento pubblico europeo.
Ovviamente anche il 3 luglio è stato oggetto della requisitoria, una manifestazione di migliaia di persone definita come “una vera azione di guerra e militare praticamente ininterrotta (…) per riappropriarsi delle aree che erano state riportate nel possesso dello Stato il 27 giugno…” una sorta di “chiamata internazionale alle armi” come definita dai giornali.
Il pg Saluzzo, sebbene abbia tentato ad inizio processo di evocare una “dimensione” di normalità processuale eleggendo il Tribunale di corso Vittorio come aula del dibattimento e non quella bunker del carcere delle Vallette, ha gettato via la maschera già dopo le prime parole, di fatto percorrendo la strada tracciata da Caselli anni fa, quella che pensava di poter “spaccare” il movimento facendogli assumere la “divisione fra buoni e cattivi“. Scelta sbagliata che gli si è rivoltata contro, ma che oggi ancora persevera come metodo di condotta nelle aule di tribunale a danno di centinaia di No Tav che continuano ad essere processati e condannati.
Saluzzo ha preso in mano una vicenda di cui evidentemente sa poco, ma si è galvanizzato nel farlo. Ha addirittura definito una “debolezza della stato” la ripresa dei terreni a Venaus nel 2005, peccato per lui che, invece, quei giorni rimarranno alla storia come una grande vittoria del movimento No Tav…
Descrivendo le varie vicende giudiziarie del movimento No Tav, continuiamo a scorgere personaggi senza arte ne parte, orfani del maestro Caselli che per loro ha tracciato una strada fallimentare e che si accontentano di qualche articolo sui giornali nella speranza di essere ricordati un giorno, forse, da qualcuno.
Quelli più sicuri di sè indossano l’elmetto, altri giocano la parte dei “rinnovatori”, vedi Spataro Procuratore della Repubblica con la sua azione interna, senza però evidenziare chiare discontinuità…bisogna che qualcosa cambi affinché tutto rimanga com’era prima, vero?
Rimangono quindi senza risposta alcune domande fondamentali ad asempio se vi è stato forse in passato un coinvolgimento dell’autorità amministrativa (di polizia) e politica, che si sono adoperate per segnalare l’importanza di contrastare anche sul piano giudiziario l’opposizione al Tav? Se sì, in questo possibile coinvolgimento quanto hanno pesato i poteri forti, che da sempre sono stati capaci di influenzare le decisioni del potere politico sulle grandi opere pubbliche? Sono stati serenamente a guardare o si sono a loro volta attivati?
Da parte nostra, continuiamo serenamente la nostra lotta, più forti di tutti i loro tentativi, in grado di resistere e rilanciare perché consapevoli di essere dalla parte del giusto.
Convochiamo pertanto un presidio di fronte al tribunale di Torino giovedì 3 novembre alle ore 9, per sostenere i 47 imputati di questo procedimento (altri 5 sono stati stralciati ad inizio processo) per i quali sono stati richiesti ben 140 anni di carcere complessivi.
Avanti No Tav!