resistenza — 23 Giugno 2009 at 14:42

FOTOGRAFIE CHE RESISTONO PARTE 2

Domenica 28 giugno il secondo appuntamento di fotografie che resistono.
Il primo momento di domenica 13 giugno si è sviluppato la mattina a San Giorio in frazione Garda dove giurarono i primi ribelli e il pomeriggio a Balmafol, sulle montagne di Chianocco luogo di epici scontri. Interessante in mattinata l’approfondimento storico con Danilo Bar dell’A.N.P.I. San Giorio da sempre amante della resistenza e curatore del parco della memoria che ci ha introdotto nell’atmosfera di quei giorni difficili che hanno visto la nascita della resistenza.
Questo secondo appuntamento si snoda invece tutto sul versante destro orografico della Valle di Susa, sui monti che vanno da Villarfocchiardo a Susa .
La mattina del 28 giugno si parte verso il rifugio Geat di San Giorio dove verranno ricordati cinque ragazzi, partigiani, caduti in un frangente particolare. Nel maggio del ’44 per rispondere alla resistenza in val Sangone i nazifascisti attuarono l’operazione Habicht (astore), rastrellamento diffuso che coinvolse anche la nostra vicina val di Susa. Un sostanziale pezzo della resistenza valsangonese ripiegò svalicando nella nostra valle. Questi ragazzi pattuglia d’avanscoperta vennero sorpresi e trucidati dai nazifascisti. Il loro sacrificio salvò però l’intera loro brigata che, avvisata dagli spari riuscì a resistere e a ripiegare più in alto. Avremo così l’occasione di partecipare alla commemorazione ufficiale che come sezione A.N.P.I. ci avrebbe visto comunque protagonisti e proseguire nel nostro lavoro di testimonianza fotografica.
Nel pomeriggio avremo l’occasione di incontrare a Mattie Ugo Berga, partigiano e commissario politico della 106° brigata garibaldi “G.Velino”. Ugo Berga anche per il suo ruolo all’interno della brigata ci potrà fornici un quadro completo della resistenza sul lato destro della valle che ha vissuto in prima persona e annotato in un formidabile diario.
A seguire ci sposteremo presso il ponte dell’Arnodera, simbolo della “battaglia della ferrovia”, motivo dominante dei due anni di resistenza in Valle di Susa. Una battaglia fatta di continui e snervanti attacchi di medio e grande livello culminati il 28 dicembre 1943 con la distruzione del ponte. Per il comando tedesco di Torino “una vera e propria opera d’arte” per gli alleati “il più grande sabotaggio dell’Europa occidentale”. Occasione questa anche per ricordare Vittorio Blandino, storico comandante “Vittorio” protagonista di quei giorni ed in particolare di quell’operazione, da poco scomparso.
Per tutti l’appuntamento è sempre in piazza Cavalieri di Vittorio Veneto (piazza mercato) a Bussoleno alle ore 9.00
Pranzo al sacco e abbigliamento adeguato a una gita in montagna.
INFO 3477076188

NOTE STORICHE

RIFUGIO GEAT E L’OPERAZIONE HABICHT
Il 10 maggio del ’44 la val Sangone, piccola e scenografica valle a ovest di Torino, viene investita da uno tra i più efferati rastrellamenti dell’occupazione nazista in Italia. Nata in ritorsione all’attacco di Cumiana d’inizio aprile, l’operazione in tre fasi (attacco militare, inibizione della popolazione, esecuzioni di massa) si chiude il 18 maggio con un’impressionante scia di morte e distruzione: oltre 100 partigiani uccisi, diverse borgate saccheggiate, devastate e bruciate, un imprecisato numero di deportati, tre stragi di massa (Pinasca, Sant’Antonino e Forno di Coazze). In particolare risalta l’inaudita crudeltà dell’eccidio della fossa comune di Forno di Coazze: il 16 maggio 24 giovani, catturati nei giorni precedenti, sono mitragliati alle gambe e lasciati nell’arco di due giorni per sfinimento o dissanguamento. Nella notte gli abitanti li sentono chiamare aiuto, ma le sentinelle impediscono alla gente di avvicinarsi. Il giorno dopo, i partigiani sono sepolti vivi. Ma non è finita. Pochi giorni dopo, in seguito all’uccisione di due ufficiali nazisti, inoltratisi incautamente in territorio partigiano, e alla cattura di un ex prigioniero inglese, i nazifascisti della FALK, la contraerea tedesca, al comando del colonnello Nerek, occupano di nuovo la valle.
In un crescendo di brutalità, i militari tedeschi procedono all’ispezione della certosa di san francesco, alla perquisizione della sacra di San Michele, al cannoneggiamento delle frazioni San Pietro nel comune di Avigliana e Selvaggio nel comune di Giaveno, e, infine, alla fucilazione in quattro località diverse (Bonaria, Valgioie, Giaveno e Coazze) di 41 partigiani, in gran parte catturati nel corso della prima parte del rastrellamento.
In questi intensi e rocamboleschi giorni gran parte delle formazioni partigiane ripiegano sui monti, alcune in modo ordinato, altre, pressate dall’avanzata nemica allo sbando. Memore del rastrellamento del 13 novembre 1943, il comandante De Vitis decide di spostare la sua brigata verso la vicina Val di Susa . Le notizie sono incerte, il nemico ovunque e coordinato, si decide così di far avanzare una pattuglia in avanscoperta. Il 12 maggio il ventiduenne coazzese comandante di distaccamento Valerio Martoglio, il ventenne orbassanese Vincenzo Governato, il diciannovenne Pietro Morello di San Mauro Torinese, il diciannovenne torinese Giuseppe Staorengo e il diciannovenne carabiniere valtellinese Aurelio Del Martino cadono però in un’imboscata. Nei pressi del rifugio geat vengono sorpresi da una pattuglia di nazifascisti, torturati e quindi uccisi. La brigata al seguito comandata da De Vitis prosegue nel cammino non ricevendo segnalazioni di pericolo, a ridosso del rifugio però l’attento comandante nota dei bossoli di mitraglia sparati da poco e salva i suoi ripiegando verso i picchi del Pagliaio. I componenti della pattuglia verranno sepolti in una fossa comune nei pressi del rifugio e solo nel novembre del ’45 tumulati nell’ossario di Coazze. Tutti verranno insigniti di medaglia al valor militare, d’argento a Martoglio di bronzo agli altri quattro.

UGO BERGA

Ugo Berga è nato il 24 gennaio 1922. Suo padre , nativo di San Giorio di Susa, conobbe sua madre, di famiglia ebraica, frequentando il circolo socialista di Borgo San Paolo a Torino e morì prematuramente nel 1924. Ugo trascorse perciò nella famiglia materna, tutta attivamente antifascista, l’infanzia e l’adolescenza. Mentre frequentava l’ultimo anno delle magistrali, in seguito alle leggi razziali del ’38, venne allontanato dalla scuola e potè conseguire il diploma solo come privatista. Nell’estate del ’43 sfolla con la famiglia nella casetta paterna di borgata Balma di San Giorio e qui, l’8 settembre, seguendo anche le indicazioni del partito comunista clandestino, a cui aveva da poco aderito, inizia la sua attività di partigiano, che proseguirà fino alla Liberazione, che lo trova Commissario politico della 106° brigata garibaldi “Giordano Velino”. Il suo carattere mite, la sua umiltà ne fanno un commissario politico di impareggiabile valore.
Nel dopoguerra diventerà sindacalista in ferrovia e poi nel sindacato pensionati. Tutta la sua esistenza rimane però legata alla resistenza. Instancabile testimone viaggia attraverso le generazioni nelle scuole, con l’A.N.P.I., nelle manifestazioni ufficiali, nelle nuove resistenze, nella lotta no tav. Di seguito una frase tratta da un suo diario che forse meglio di tante parole ne descrive il personaggio.
Cosa ti ha insegnato la montagna da partigiano? “Ho imparato a sbrogliarmi in tante situazioni, a conoscere gli uomini, che sono tutti uguali nei sentimenti fondamentali, anche se talvolta le differenze caratteriali – i pavidi e i coraggiosi – e culturali in senso lato sono notevoli. Ho capito che c’è una violenza criminale e assassina da fermare, che ci sono uomini capaci di unire altri uomini e di dare l’esempio”

106° BRIGATA D’ASSALTO “G. VELINO”
L’atto di nascita ufficiale della 106° Brigata Garibaldi “Giordano Velino” porta la data del settembre 1944, perché è in quel momento che quella che era un distaccamento della 42° Brigata “Walter Fontan”, avendo raggiunto un numero di effettivi superiore ai 150 uomini, può e deve strutturarsi come Brigata autonoma. Ma la sua reale origine va spostata indietro addirittura di un anno, perché le sue radici vanno cercate nei primi gruppi di ribelli che si formarono nella media valle di Susa, pochi giorni dopo l’otto settembre 1943. In particolare da quello sorto a San Giorio, attorno alla figura dell’ing. Sergio Bellone e di cui nell’ottobre, assumerà il comando militare il ten. Carlo Carli. Con gli uomini sia della “banda” Carli, che dopo la sua morte di quelli del ten. Walter Fontan, che gli era succeduto nel comando, si costituisce un gruppo di partigiani che si accinge a sistemarsi sulle montagne di San Giorio.
Dopo che nel febbraio ’44, anche Walter cade, in un’imboscata a Bruzolo, questa formazione, che è l’unica operante nel territorio della destra orografica dell media valle, con i comandanti Carlo (Perono) e Ugo (Berga), aumenta gradualmente i suoi effettivi, mantenendo la collaborazione con le formazioni vicine, specie con quella che opera sopra Chianocco del ten. Ciamei (“Falco”).
Nella primavera del ’44, anche la nella nostra valle, i gruppi partigiani che fino ad allora non avevano una caratterizzazione politica ben definita, vengono coinvolti nella differenziazione che distinguerà tutte le forze della resistenza e così quelli della bassa valle faranno parte della della 17° brigata garibaldi e quelli della media valle della 42° brigata. La formazione di San Giorio rinforzatasi con l’arrivo di nuovi elementi locali e con una trentina di georgiani e una ventina di cechi, disertori delle forze tedesche, diventa distaccamento della 42° brigata “Walter Fontan”, ma con grande autonomia data la sua dislocazione, che andava ormai da Villarfocchiardo a Mattie, con la presenza di gruppi distinti ( i futuri Distaccamenti) sulla montagna di questo versante. Finalmente nel settembre ’44 -come siè detto- nasce la brigata che prende il nome di “Giordano Velino”, il primo caduto di San Giorio e che farà parte , inizialmente della “3° divisione Garibaldi” con tutte le brigate della valle, e poi, quando questa verrà sdoppiata, della “13° divisione garibaldi” assieme alla 41° e alla 115° brigata.
L’attività principale della 106° fu – come per tutte le formazioni della valle- la battaglia contro le linee di comunicazione nemiche: la ferrovia e la strada internazionale del suo versante (l’attuale s.s. 24), con ripetute,continue interruzioni, minando i ponti, i binari, le linee elettriche e attaccando i mezzi che circolavano. Partecipò all’attacco del giugno ’44 al presidio di Bussoleno e respinse in varie occasioni le azioni di rastrellamento dei tedeschi, che offrirono persino una tregua, ovviamente respinta, per alleggerire la pressione dei partigiani.
Formate per la maggior parte (ma non solo) da giovani dei paesi di Villarfocchiardo, Bussoleno, San Giorio, Mattie, ebbe il costante e pressoché unanime sostegno e aiuto della popolazione di quei paesi e soprattutto delle loro borgate montane, in cui sistemava, con continui spostamenti, le proprie basi. Infine nell’aprile ’45 partecipò alla liberazione di Torino, attestandosi, prima al campo volo dell’aeronautica, e poi costituendo il presidio di Rivoli, fino alla smobilitazione.

BATTAGLIA FERROVIA, IL PONTE DELL’ARNODERA E VITTORIO BLANDINO

Dall’8settembre al 25 aprile in Valle di Susa si è consumata quella che viene ricordata da tutti come la “battaglia della Ferrovia”. Obiettivo primario delle formazioni partigiane era sabotare la linea ferroviaria Torino-Modane asse logistico di primaria importanza per l’approvvigionamento delle truppe tedesche in tutto il nord Italia. Gli ordini arrivarono chiari dal Cln, tutti gli sforzi della resistenza valsusina dovevano concentrarsi sulla ferrovia. La risposta dei nostri partigiani fu ancora più chiara, la linea ferroviaria subisce continui sabotaggi che ne interrompono il funzionamento di continuo grazie al valoroso sacrificio di molti ragazzi che avevano scelto da subito di ribellarsi. I combattimenti sono duri, a seguito dei sabotaggi, i tedeschi rispondo con rastrellamenti sempre più feroci. Vige il coprifuoco prima notturno e poi anche diurno. La Valle è un posto di blocco unico, tutta la potenza della macchina bellica tedesca è messa a difesa della linea ferroviaria. In questo scenario di guerra diffusa il comandante “Vittorio” assieme a tre compagni (Don Foglia detto “don dinamite”, l’ing. Sergio Bellone e “Remo”) compie quella che viene definita dagli alleati la più grande impresa di sabotaggio dell’Europa occidentale.
Il 28 dicembre mattina partendo dalla sua Villardora, Vittorio Blandino con un carro agricolo trasporta ottocento chili di esplosivo diviso in otto casse-cariche e sedici detonatori già innescate nascoste sotto del letame. Percorre tutti i trenta chilometri della bassa valle fino a Susa disseminata di controlli e giunge ormai con il buio presso il ponte dell’Arnodera, dove con l’appoggio di una brigata d’assalto locale e insieme ai suoi compagni genieri piazza le cariche. A lui come compete a un comandante del suo livello il compito più difficile, bloccare il presidio militare al vicino casello, senza fare vittime inutili e prima che diano l’allarme.
All’una di notte del 29 dicembre vengono distrutte le cinque arcate alte più di trenta metri del viadotto ferroviario. Il comando tedesco di Torino definisce il sabotaggio “una vera e propria opera d’arte”. Per oltre due mesi il traffico internazionale fu bloccato.
Per questa operazione e per la sua figura di valoroso combattente e testimone nel 1998, il presidente della Repubblica Scalfaro, lo nomina cavaliere di Vittorio Veneto, uno tra i numerosi riconoscimenti ricevuti.
Contravvenendo al rigoroso cerimoniale uscirà ancora una volta il suo animo ribelle: “non per me presidente, ma per tutti i partigiani che nelle mie valli sono caduti”. Ancora una volta, per la sua umiltà, non voleva infatti ricevere l’onoreficenza, non si sentiva all’altezza, rivendicando il senso collettivo della lotta partigiana. Circa duemila sarà il conto dei caduti partigiani nelle valli di Susa e Chisone alla fine della guerra. Un contributo significativo e doloroso per delle valli alpine che ancora oggi portano i segni e alto l’orgoglio di quegli anni e di quei ragazzi.
Vogliamo ancora ricordare almeno alcuni momenti della sua figura di combattente.

COS’E’ FOTOGRAFIE CHE RESISTONO

Fotografie che resistono nasce da un gruppo di amici guardando un tramonto in valle di Susa dopo una giornata passata sui sentieri partigiani. Da alcuni anni, senza che ce ne rendessimo conto ci siamo trovati a dover continuare il meticoloso lavoro di testimonianza che i nostri nonni, per tanto tempo hanno fatto e ci hanno insegnato a fare. Sin da bambini siamo stati portati in quei luoghi dove sessant’anni fa ragazzi come noi combatterono per la libertà, la loro e quella delle generazioni future. Abbiamo attraversato i ricordi e la memoria di chi quei giorni li ha vissuti, tanto intensamente da dedicare l’intera sua vita alla testimonianza affinché mai più fascismo e nazismo potessero rinascere. Immersi in una società veloce e all’apparenza superficiale ci confrontiamo ogni giorno sul come trasmettere quei valori e quella voglia di libertà. La nostra generazione corre, la voglia di libertà ce l’ha nel sangue, come nel sangue da sempre di ogni giovane. Veloce cercando di conquistare il proprio futuro. In questo movimento continuo proviamo a inserirci, a dare il nostro contributo, la nostra esperienza,l’antifascismo.

Come sezione A.N.P.I. abbiamo provato da qualche anno con buoni risultati a diffondere con mezzi moderni quali la rete e la multimedialità esperienze teatrali e musicali aventi come soggetto la resistenza. Proprio portando a spasso uno spettacolo teatrale abbiamo incontrato dei ragazzi appassionati di fotografia e con loro abbiamo iniziato questo percorso.

Fotografie che resistono è un’esperienza multicanale in cui i saperi si intrecciano e le conoscenze si diffondono. Nell’arco di più giornate di lavoro vorremmo provare a rifotografare i luoghi della resistenza in val di Susa. Fotografie accompagnate da una contestualizzazione storica dei luoghi e da momenti di approfondimento di tecniche fotografiche. Da un lato riscattando oggi alcune delle immagini più significative di quei giorni. Dall’altra con i mezzi moderni creare una mappatura fotografica della Valle di Susa resistente che possa accompagnare lungo percorsi storico naturalistici turisti e curiosi.