Il drammaturgo greco Aeschylus scrisse più di due mila anni fa che in guerra la verità è la prima vittima. Si potrebbe aggiungere che questa vittima viene spesso seppellita da affermazioni vaghe, notizie parziali e conclusioni costruite senza fondamenti. Spesso viene sconfitta perché il potere dell’avversario è talmente forte che le voci della verità vengono silenziate per la paura delle ripercussioni che si rischierebbero se si dovesse cercare di sfidare le menzogne. In effetti, io ci ho pensato parecchio prima di mettere penna su carta ma la guerra di parole che si sta conducendo contro il movimento NO TAV non mi permette di stare in silenzio.
Nella settimana in cui si chiusero per la pausa estiva i giornali locali della Val di Susa, è stato pubblicato su “La Stampa” un articolo sulla situazione attuale dei NO TAV. L’articolo, nel giornale del 31 luglio, era un pasticcio di sottotitoli e articoletti senza filo conduttore che trattava argomenti diversi. Non entro nel merito dell’articolo intero ma mi soffermo su una parte intitolata: “Interscambio tra violenti”.
In questa parte si parlava di un polo europeo di violenti che ingloba vari ambiti politici inclusa “l’estrema destra anti-semita”. Tra le frasi si parlava anche di attivisti che sono andati in Palestina finanziati da organizzazioni “legate ad Hamas” e “la visita di militanti dell’islamici” in valle. (Errori ortografici a cura della redazione del giornale.)
Ho letto l’articolo il primo agosto dopodichè ho chiamato mio marito e gli ho chiesto: “Ma stanno parlando di noi?!?” Nel novembre 2012, abbiamo fatto un viaggio in Cisgiordania ben pubblicizzato in Val di Susa. Siamo tutti e due oppositori del progetto ferroviario e siamo andati in Palestina rappresentando il movimento NO TAV. Nell’articolo di “La Stampa” non c’era nessun nome ne fonte e nessun dettaglio di cronaca ma era pieno di implicazioni specialmente data l’aumentata tensione attorno l’uso della parola “terrorismo” in riferimento al movimento.
Il vocabolario Zingarelli definisce la parola terrorismo come segue: “concezione e pratica di lotta politica che fa uso della violenza per ottenere radicali cambiamenti sociali o istituzionali”. Terrorismo viene dal verbo “terrorizzare” definito “incutere grande spavento, spargere il terrore”.
Secondo me, l’articolo aveva più a che fare con il verbo che il sostantivo. Lo scopo del giornalista in questione non era d’informare su una realtà che rientra nella definizione citata sopra di lotta violenta ma piuttosto di terrorizzare su due fronti: il primo è il pubblico italiano che usufruisce solo di fonti come “La Stampa” per informarsi sul movimento NO TAV, e il secondo è persone come me e mio marito. Perché, data la mancanza di dati o fonti, dopo la pubblicazione di questo articolo chi ci conosce e anche chi ci vuole bene è rimasto abbastanza preoccupato che noi potessimo essere i prossimi a ricevere visite poliziesche in casa alle sei del mattino, come è accaduto recentemente, applicando leggi anti-terrorismo.
A parte il fatto che il nostro viaggio è stato ben raccontato e documentato come un viaggio di solidarietà, anche insieme ad attivisti israeliani, basato interamente sulla non-violenza, e che non c’entrasse assolutamente in nessun modo con Hamas, mi ha indignato il fatto che presenze palestinesi in Val di Susa potessero carte blanche essere legate alla violenza e, in modo subdolo, alla parola “terrorismo”.
I palestinesi che sono venuti in valle – di nuovo in modo ben pubblicizzata fino al punto che “La Stampa” stessa aveva scritto un breve articolo intitolato: “Val Susa: Gemellaggio con il Medio Oriente” – non c’entrano niente con l’articolo del 31 luglio.
Abdallah Abu Rahma, il coordinatore dei Comitati popolari per la resistenza non-violenta in Cisgiordania, è la persona che ci ha invitato in Palestina. È venuto in Val di Susa nel gennaio 2013 con l’ex-eurodeputata Luisa Morgantini. È una persona che a volte è stata criticata per la sua totale fede nei metodi non-violenti. Quando era in carcere per 18 mesi, senza aver commesso nessun reato, l’allora portavoce dell’Alto rappresentante dell’Unione Europeo per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, ha scritto una lettera rivendicando il suo rilascio chiamandolo “un difensore degli diritti umani impegnato nella protesta non-violenta”.
Ad aprile 2013, sono venuti dei ragazzi – musicisti, cantanti e ballerini – della Striscia di Gaza. Dietro lo stesso filo spinato adoperato a casa loro, al cantiere della Maddalena, hanno suonato, cantato e ballato per almeno mezz’ora davanti ai soldati che presidiano lì 24 ore al giorno. Durante lo spettacolo hanno avvicinato gli idranti ed erano in continua fibrillazione. Alcuni di quei giovani non erano mai usciti da quella striscia di prigione all’aria aperta e non mi dimenticherò mai la loro euforia quando sono entrati nel fiume prima del cantiere e hanno giocato come bambini in un’abbondanza d’acqua dolce che probabilmente non avevano mai visto prima. Chiacchierando sul sentiero al ritorno, uno dei giovani mi ha chiaramente detto che, per loro, Hamas è uguale alla mafia.
Io non so se il giornalista di “La Stampa” si riferiva a questi ragazzi e Abdallah o a me e mio marito. Sono convinta però che faccia parte del gioco malato di questa guerra di parole in corso. Posso tuttavia garantire al giornalista in questione, agli individui e alle istituzioni che promuovono questa tattica, e a tutti gli altri mezzi di comunicazione che usufruiscono di questo tipo di “terrore” e intimidazione, il seguente: nonostante gli sforzi dei poteri che vendono parole che coltivano paura e lo spargimento di menzogne, le parole “giustizia”, “solidarietà” e “verità” di sicuro vinceranno alla fine.
Lisa Ariemma è giornalista canadese, ricercatrice e attivista NO TAV. Segue il movimento dal 2005 e vive a Meana di Susa.