di Dante Barontini – Contropiano – “Tentato omicidio” di un compressore. Un’accusa originale, fatta con vero sprezzo del ridicolo, fa da apripista per l’ennesimo tentativo di criminalizzare il Movimento No Tav. C’è qualcosa di marcio nel modo in cui – sinergicamente – istituzioni, partiti politici, una procura, media di regime stanno cercando di circondare il Movimento No Tav. C’è qualcosa di marcio perché lo schema è decisamente totalitario.
L’occasione è stata trovata nel danneggiamento notturno di un compressore, all’interno del cantiere. Riportiamo in breve le reazioni, in modo da chiarire perché parliamo di totalitarismo.
La procura di Torino, su input del suo capo, Giancarlo Caselli, ha ipotizzato il reato di “tentato omicidio”. Tenuto conto che nel cantiere a quell’ora non c’era nessuno, bisogna convenire che la trasformazione di un “danneggiamento” in “tentato omicio” è un’audacia giuridica che solo in certe menti poteva sorgere. Evidente anche lo scopo: stabilire una carcerazione preventiva lunghissima per i malcapitati che verranno “indiziati” per un reato mai commesso (il “tentato omicidio” appunto). Del resto la procura torinese si era già fatta segnalare per una maxi-inchiesta che aveva portato a decine di arresti, con tanto di minuziose ricostruzioni fotografiche, per “identificare” gli autori di… un lancio di sassi. La sproporzione dell’accusa non è insomma un incidente di percorso, ma una strategia repressiva decisa a tavolino da persone che manipolano il codice penale come chewing gum. Con buona pace dello stesso, strombazzato, concetto di “legalità”.
A livello istituzionale, da Napolitano in giù, si ripetono messaggi intimidatori che invitano a censurare anche le parole. Non ci riferiamo ovviamente a “insulti” o “minacce”, ma alle pure e semplici “critiche”. Un potere politico profondamente diviso, che si tiene insieme con lo sputo, prova a stabilire un “terreno unitario” potenzialmente solidissimo nell’impedire ogni dissenso informato, agitando possibili accuse più gravi (si troverà sempre un procuratore disposto a gonfiare un capo d’accusa…).
Un capitolo importante di questa criminalizzazione totalitaria e l’enfasi con cui si sottolienano i “disagi” degli operai che hanno accettato di lavorare nel cantiere della Tav. Interviste, introspezioni psicologiche, empatia a piene mani e basso costo per le loro “paure”. Diciamo la verità; da quando esiste il movimento operaio c’è sempre stata frizione tra chi cercava la dignità umana nella lotta (salariale, normativa, politica) e quanti accettavano di farsi complici del padrone (crumiri, spie, ecc). È la “normalità” che si realizza quando il potere lavora per creare divisioni nella classe o, in questo caso, nella popolazione di un territorio. Che i complici siano e si sentano disprezzati, magari persino in casa propria, al bar e per strada, è non solo normale, ma profondamente giusto. Morale ed etico. Non crediamo invece nemmeno per un attimo alle presunte “minacce” sparate sui giornali. Tant’è che nessuno – proprio nessuno – ha finora potuto denunciare di aver preso uno schiaffo.
Non stupisce che dei complici professionali come quelli della Cisl inzuppino il biscotto nella retorica più imfame forcaiola: “Le minacce ai lavoratori impegnati nei cantieri della Tav in Piemonte sono ignobili, sono veri atti di terrorismo e dimostrano come la tensione sociale in quel territorio sia altissima” dice Domenico Pesenti, segretario generale della Filca-Cisl. Se il disprezzo palese è “terrorismo”, allora l’umanità intera è imputabile per questo…
Se oltretutto ci ricordiamo che tutto ciò avviene per “difendere” la più inutile delle “grandi opere”, abbiamo anche la misura della “lucidità” di un potere senza cervello. Ieri i senatori grillini hanno presentato un disegno di legge per abrogare gli accordi con la Francia che hanno reso possibile l’avvio – e soltanto l’avvio – dei lavori di scavo del tunnel. In quel testo si ricorda la più inoppugnabile delle verità: il progetto di Tav in Val Susa si basava su un’ipotesi circolante negli anni ’90: che a “vecchia” linea Torino-Lione, tutt’ora in funzione, sarebbe stata ben presto “saturata” da un imponente traffico di uomini e merci.
Il taffico, in questi 20 anni, è addirittura calato. A chi serve, dunque, fare “il buco”? A chi fa i soldi per costruirlo, a nessun altro. In loro difesa si muovono lo Stato, la magistratura, i partiti, la stampa e persino i sindacati “complici”. Deve trattarsi proprio di un affare colossale, se così tanta gente può trovarci un guadagno.