Le parole, i pensieri di Moni Ovadia – Le pregnanti e appassionate osservazioni di Roberto Saviano e di Salvatore Settis sulla incandescente quaestio della Tav, basterebbero da sole a mettere in scacco la sicumera dei suoi inflessibili alfieri che ne fanno un paradigma assoluto del buon sviluppo e dovrebbero indurli, se non altro, a maggiore modestia e ad una seria riconsiderazione delle loro adamantine certezze. L’Alta Velocità in Val di Susa, oltre al merito concreto della sua fattispecie – al netto della assai strumentalizzata emergenza “violenti” – pone il problema del modello di sviluppo che si vuole scegliere e della lingua di quel modello.
In questo momento si contrappongono due modelli di sviluppo sostenuti da due opposte visioni del mondo: quello dei pro-Tav che si fonda sulla prevalenza delle ragioni economiciste e politiciste à tout prix e quello dei no-Tav sulla centralità dei diritti dei cittadini, dei diritti delle genti, la dignità dei luoghi e delle comunità che li abitano, le necessità dello sviluppo compatibile, la qualità della vita e l’assoluta priorità della salute individuale e sociale.
I no-Tav inoltre, non sono, come piacerebbe a molti loro detrattori, delle anime belle o degli estremisti. Le loro ragioni sono sostenute da molteplici studi assai rigorosi in grado di smontare gli argomenti economici a favore del progetto. Non è saggio, a mio parere, da parte del Governo fare della Val di Susa, il Fort Alamo del confronto fra sviluppo e non sviluppo.
Ciò che la lente deformante dell’emergenza oggi fa apparire come un desiderabile futuro foriero di prosperità, domani, caduta la lente, potrebbe rivelarsi un nefasto passato già esperito.