[tratto da http://www.carta.org/]Anatomia di un articolo apparso sul Corriere della Sera il 20 febbraio, a proposito del movimento No Tav, di un ordigno ritrovato a Torino e di una fantomatica degenerazione della protesta…
Il Corriere della Sera ha pubblicato sabato scorso, 20 febbraio, un breve commento dedicato al movimento No Tav della Val di Susa. L’articolo compariva nella pagina dei commenti e autore ne era Luciano Ferraro, se ho capito bene giornalista del quotidiano milanese ed ex corrispondente da Venezia [questo si ricava dall’archivio storico del Corriere]. Non so se Ferraro sia mai stato a vedere con i suoi occhi quel che accade nella valle piemontese. Né risulta che se ne sia occupato prima del 20 febbraio [ma potrei sbagliare].
Ho fatto queste piccole ricerche perché il commento, pubblicato all’indomani dell’aggressione di poliziotti che è costata il ricovero in terapia d’urgenza, alle Molinette di Torino, a un ragazzo, redattore della radio Black Out di Torino, e a una donna, commerciante a Susa, è nel suo genere un capolavoro. Da vecchio giornalista sono sinceramente ammirato per la logica stringente, la scelta delle fonti e la concatenazione dei fatti che sorreggono il ragionamento di Ferraro. Ho studiato per anni, causa lavoro, i metodi della propaganda e i trucchi della «disinformazija», e posso assicurare che quelle poche righe meriterebbero di essere studiate nelle scuole di giornalismo, come buon esempio al contrario. E riassumono bene l’atteggiamento dei grandi media nei confronti dei cittadini della Val di Susa. Dunque, mi divertirei a farne l’anatomia, frase per frase.
Accade dunque che un ordigno esplosivo venga ritrovato davanti alla porta di una agenzia immobiliare di Torino, venerdì 19 febbraio, giorno successivo alle botte in Val di Susa. Da qui parte Ferraro. Titolo: «No Tav, c’era una volta il movimento, ora la protesta può degenerare». L’inizio è di quelli solenni: «La storia delle bombe d’Italia, piccole e grandi, è piena di depistaggi, trabocchetti, false piste e false rivendicazioni»: giusto, è così. La bomba «trovata a pochi passi dal Palazzo di giustizia di Torino…», prosegue Ferraro… Un momento, la bomba era sulla porta di un’agenzia immobiliare, e «a pochi passi da lì», se è per questo, ci sono molte altre cose; per dire, la Fabbrica delle E del Gruppo Abele. Ma Ferraro in questo modo fissa un primo anello della catena, senza citare alcuna fonte [che so, la questura], che gli permette il secondo passo: «La tecnica con la quale [la bomba] è stata confezionata fa pensare ai movimenti anarchici». Che mi risulti, bombe confezionate da anarchici, a Torino, ce ne furono trent’anni fa, e mi chiedo di quale tecnica si tratti [chi lo ha detto? Gli investigatori?].
Non importa, la conclusione è inesorabile: «… movimenti anarchici, protagonisti delle proteste contro la Tav». Carta, che di No Tav si occupa da anni, conosce solo un «movimento anarchico» No Tav, collegato alla antica Fai [Federazione anarchica italiana], che tiene un sito internet, fa ogni cosa in modo trasparente ed è comunque una parte molto piccola del movimento. Ferraro però sta alludendo al fatto che il giovane mandato all’ospedale dalla polizia è stato qualificato, dalla questura, come «anarcoinsurrezionalista», definizione buona per tutti gli usi e alquanto inafferrabile, oltre che fasulla: nemmeno la Repubblica, che pure è appassionatamente schierata per la Tav, ha avuto lo stomaco di usare questo epiteto per un ragazzo che lavora ai microfoni di una radio, per definizione pubblica. Diciamo che questo odore di anarco-pazzoidi torna utile, anche se il fumo non permette di trovare arrosti.
Infatti Ferraro ammette che non ci sono state rivendicazioni della bomba. E però, «nell’attesa che gli investigatori diano un nome agli attentatori», aggiunge, «c’è una sola certezza». E qual è? «Il livello dello scontro si sta alzando». Il che è vero. Lo stesso Corriere aveva notato che a comandare i poliziotti c’era, la notte delle botte, quel tale Spartaco Mortola che tra i suoi trofei di caccia può mostrare anche le teste della novantina di persone inermi massacrate nella scuola Diaz, in un luglio di nove anni fa a Genova. Ma fate attenzione alle parole: «il livello dello scontro»: torneranno in conclusione. Stabilito dunque che gli «anarchici» pescano nel torbido, Ferraro spiega in questa luce quale sia lo stato del movimento No Tav: «… ha preso forza cinque anni fa, raccoglieva all’inizio consiglieri comunali, sindaci, associazioni ed ecologisti. Ora – prosegue – le fila si sono assottigliate… è rimasta l’area più agguerrita» [altra parola scelta con cura].
Questo giudizio è smentito da innumerevoli fatti. Le elezioni amministrative in cui le liste civiche No Tav hanno ottenuto, in tredici comuni, mai meno del 30 per cento [salvo un caso]. L’elezione della nuova Comunità montana, in cui i sindaci e consiglieri No Tav si sono alleati con il Pd locale, ottenendo la maggioranza su un programma contro l’Alta velocità. La manifestazione di 40 mila persone [20 mila secondo la polizia] di appena un mese fa. Eccetera. E allora? Il fatto è che Ferraro cita un osservatore autorevole: «Il nuovo schieramento – scrive Ferraro – è stato descritto ieri in una intervista al Corriere da Mario Virano, il presidente dell’Osservatorio tecnico sulla Tav». Appunto. Come affidare il pollaio alla volpe: Virano è l’avversario dei No Tav, e il suo Osservatorio è stato azzerato dall’elezione della nuova Comunità montana, che, a differenza di quella precedente, si rifiuta di partecipare al gioco truccato dell’elaborazione «concertata» di un «nuovo tracciato» dell’Alta velocità. Ma, dice Virano, a contestarlo sono rimasti solo gli «irriducibili e arrabbiati».
Cosa prova che le cose stiano così? «Che qualcosa sia cambiato – spiega il giornalista del Corriere – lo si è capito… quando i neo No Tav hanno iniziato una battaglia con la polizia». Battaglia? «A colpi di pietre, secondo la Questura. A palle di neve, per i manifestanti. Un ragazzo e una donna, assieme a venti poliziotti, sono rimasti feriti». Dunque: se c’entrano gli anarchici, gli irriducibili e gli arrabbiati, la versione dei «neo No Tav» [che non sono più quelli di prima], ossia che loro hanno tirato palle di neve, è evidentemente falsa. E il numero di poliziotti feriti, venti, contro i due dei manifestanti, dimostra quanto violenta fosse l’azione dei No Tav. Peccato che di poliziotti contusi, e non feriti, ce ne fossero solo due [venti lo disse la questura a caldo, poi preferì lasciar perdere], mentre i due cittadini sono finiti nel reparto di terapia d’urgenza.
In ogni modo, Ferraro trova un altro supporto: è il segretario piemontese del Pd Morgando, che ha spiegato come «tra chi è sceso in piazza in questi giorni c’è anche qualche ex di Prima linea», il gruppo terrorista degli anni settanta [e qui torna il «livello dello scontro»]. Conclusione in verità auto-contraddittoria: «La dinamite di ieri, da qualunque parte provenga, indica che azioni e toni ora possono degenerare ancora». Da qualunque parte provenga?
Difficile trovare un tale concentrato, in così poche righe, di scorrettezze professionali. La bomba non c’entra niente, non vi è il minimo indizio che la possa collegare alla protesta contro la Tav. E’ falso che il movimento di cinque anni fa fosse molto più ampio di quello attuale. I giudizi di Virano sono evidentemente di parte. Quella del segretario regionale del Pd è una illazione provocatoria non confortata da alcun dato di fatto. Su cosa sia accaduto nella notte dei cosiddetti scontri ci sono due versioni molto diverse, ma le persone in ospedale, e in quelle condizioni, sono in carne ed ossa. Se mi capitasse di incontrare Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, gli chiederei se è questo il giornalismo liberale e autorevole che asserisce di fare con il suo giornale.